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Le notti di Orvieto sono sepolcri imbiancati

Fausto Cerulli

di Fausto Cerulli

Le notti di Orvieto sono sepolcri imbiancati. Mi capita di girare per Orvieto dopo qualche spettacolo, verso le dieci di sera. Passeggio dalla Torre del Moro a Piazza della Repubblica, il tragitto tradizionale ed inevitabile. Incontro le solite persone, pi? o meno simpatiche, ma tutto sommato normali. Bar aperti, vetrine illuminate fiocamente nei negozi chiusi. Una specie di garbato salotto. Eppure qualcosa mi inquieta. Sento che in qualche parte un?altra Orvieto formicola e brulica, la Orvieto della periferia e delle discoteche, ma anche la Orvieto dei giovani senza speranza, quelli dell?eroina e della birra bevuta male, quelli delle pasticche e del bacardi. Io non sono un bacchettone, non ho nessuna prevenzione nei confronti, tanto per dire, di uno spinello: e la mia vicenda di avvocato sta l? a dimostrarlo. E non mi frega nulla se nelle case dei ricchi, stando a quelle che sono magari solo leggende metropolitane, si sniffa e si snaffa: affari loro. Affari per gente d?affari. Quello che mi angoscia ? la Orvieto delle morti senza spiegazione, dei suicidi che forse non sono tali,dei piccoli festini finiti male, della giovent? girovaga delle notti del fine settimana. Mi viene in mente il suicidio che tale forse non ? del giovane Achilli, del suicidio che tale forse non fu del giovane Porcari. E Gianna, che fu trovata morta ai piedi della rupe, e i genitori non erano convinti

che si fosse uccisa e mi incaricarono di assistere all?autopsia, e ricordo ancora lo strazio con cui vidi il suo corpo su un tavolo autoptico, e i dubbi furono cancellati, ma quella morte no. E ricordo un?altra ragazza molto bella che mor? per una overdose di eroina e forse si sarebbe potuta salvare se non fosse stata vittima di molte paure. Non sto facendo un macabro elenco: sto esponendo dei fatti a caso per chiedermi che cosa succede a questi giovani.

Io ricordo un periodo in cui la vita dei giovani aveva altri sensi, e non parlo di cento anni fa, ma di trenta anni che poi non sono tanti. Ricordo che ad Orvieto esisteva un collettivo politico che si riuniva in via della Costituente, tra la Torre del Moro e Piazza del Popolo. C?era anche una radio, ed era una radio che trasmetteva le stesse musiche che si sentono nelle discoteche: ma non erano urlate, non impedivano il parlare: ed eravamo molti, a trovarci tutte le sere fino a tarda notte. Si beveva, non dico di no, si fumava qualche spinello, non dico di no, ci si innamorava e ci si lasciava, non dico di no. Ma  si parlava di molte cose, soprattutto di politica. Venivano giovani anche da Allerona, da Castiglione in Teverina, da altri paesi del circondario. Non erano discussioni del tutto oziose, molti ancora le ricorderanno, molti hanno trovato in quelle discussioni le basi per la loro attuale militanza politica. Non ci riunivamo solo noi di sinistra, si riunivano anche i giovani di destra, e  magari anche quelli di centro, anche se poteva sembrare impossibile essere giovani ed essere di centro. Poi qualcosa ? radicalmente mutato, ? cominciato quel cambiamento genetico cui tante volte profeticamente alluse Pasolini:

e fu proprio, cronologicamente, la morte di Pasolini a segnare uno spartiacque tra due epoche. Noi giovani di allora avevamo voglia di costruire qualcosa, non ci rassegnavamo ad essere spettatori; eppure gi? allora esistevano i miti televisivi, il consumismo si insinuava nelle coscienze subdolamente e perversamente. Ma per qualche tempo fu come se avessimo degli anticorpi, riuscivamo a resistere. Poi fu il nulla: i giovani che si occupavano di politica furono criminalizzati, emarginati, considerati alla stregua di guastafeste. E il consumismo prevalse. Da allora i giovani cominciarono ad indossare la divisa: i giovani con i pantaloni strappati apposta o comprati gi? strappati, le giovani con i capelli tutti eguali, i seni tutti eguali, i culi tutti eguali: erano i balilla del consumismo. E tuttora lo sono: e chi potrebbe o dovrebbe aprire loro gli occhi, restituire loro il senso della propria autonomia, il gusto di costruirsi una vita preferisce che seguitino a dormire il sonno del consumo, a bere la birra dei disperati, a bucarsi di solitudine affollatissima. La politica, divenuta politichese, non tollera intrusi; il potere economico, divenuto Potere, vuole  solo Sudditi Consumatori. E le notti di Orvieto somigliano a tutte le notti del mondo occidentale: quelle del mondo ex comunista sono magari un poco diverse, ma solo perch? i Consumi sono pi? rari, e perch? i giovani dell?est festeggiano la morte del comunismo facendo i camerieri o le badanti al capitalismo neocoloniale.

Mi rendo conto che questo mio discorso ? pesante, che non si addice al vogliamoci bene di questo Natale gonfio di luci e di malafede. Mi dispiace di non riuscire ad essere ironico.

E penso che tutto sommato mi possa comprendere, al di l? di incommensurabili divergenze, quel cittadino Scanavino episcopo, che ha avuto recentemente il coraggio di dire, da ecclesiastico,   che Cristo fu un comunista. E di dirlo in un momento in cui tutti, i comunisti per

primi, sono pronti a sputare sul comunismo. Quello stesso cittadino Scanavino che nel corso di un colloquio privato lament? con me l?assenza dei giovani da qualsiasi forma di impegno.

Ancora una volta la nostra classe dirigente si fa scavalcare a sinistra da una persona che, per tradizione istituzionale, proprio un estremista non dovrebbe essere. Buone feste a chi fa festa.

Pubblicato il: 23/12/2005

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