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Ma esiste una politica culturale per i giovani?

Liliana Grasso

di Liliana Grasso

 

Cosa fanno i giovani ad Orvieto?

Dove vanno a consumare le gelide sere d?inverno e le afose serate estive?

Me lo chiedo perch?, agli eventi politici e culturali della citt? siamo sempre gli stessi (non molti) e di giovani nemmeno l?ombra. A meno che non vogliamo continuare a definirci giovani fino a cinquantanni (punto di vista che onestamente potrebbe non dispiacermi). Per capirci, usiamo la convenzione che possa essere definita giovani quella variegata e policroma categoria di persone che hanno fra i 16 e i 30 anni.

Ora, lungi da me voler analizzare il valore o quantomeno l?esistenza di politiche giovanili all?interno dei vari schieramenti politici locali; ? argomento ostico e ostile e cedo volentieri ai singoli partiti l?onere di sviscerare il problema,  poich? non ci neghiamo che di problema si tratta.

Vorrei rimanere in ambito culturale, terreno meno scosceso e meno pericoloso per tutti. Per evitare di annoiarci lasciamo da una parte argomentazioni come: i giovani non sono pi? interessati al sociale, alla cultura e alla politica; non c?? pi? l?impegno e la passione che c?era negli anni settanta; i ?giovani d?oggi? pensano solo al divertimento facile e tutto il corollario di balle varie di questo genere. Infatti, se neanche gli studi sulla condizione giovanile e quelli basati sul rifiuto del sistema politico da parte delle nuove generazioni, ci forniscono una descrizione appropriata ed esaustiva della realt?, rifugiarsi nelle banalit? non serve.  Proviamo invece a valutare l?idea che ci? che passa attraverso la politica ? solo una parte della vita sociale e culturale e che proprio nella nostra capacit? di rapportarci con le domande che nascono dalla societ? risiede la possibilit? di produrre vantaggi collettivi.

Azzardo un?ipotesi: e se questa citt? non fosse in grado di organizzare eventi politici e culturali che sappiano risvegliare l?interesse degli abitanti del territorio sotto i trenta anni? Se infatti, consideriamo la giovent?, non pi? come fase di transizione per l?accesso allo stato adulto ma come condizione autonoma portatrice di saperi specifici, otteniamo un mutamento di prospettiva che modifica anche il concetto di comunit? non pi? vista come un luogo chiuso a cui si deve accedere, ma come rete di relazioni in cui ciascuno porta il suo contributo. Questo cambiamento richiede operatori culturali in grado di partecipare progetti con i diretti interessati, correndo magari anche il rischio che questo possa avvenire in maniera conflittuale.

Dobbiamo rassegnarci al fatto che le forme di partecipazione giovanile sono nuove e diverse da quelle tradizionali.

 

I giovani di Orvieto migrano, si spostano in altre citt?: Roma, Viterbo e soprattutto Perugia, che per ovvie ragioni di dimensioni e densit? di popolazione offrono opportunit? che Orvieto non pu? offrire.

Ma il cruciale interrogativo ?: siamo sicuri che queste ragioni siano sufficienti e che non sia invece la politica culturale di questa citt? che non riesce a prevedere spazi di comunicazione con le nuove generazioni? Siamo noi che non riusciamo a garantire e a tutelare spazi culturali aperti ai giovani che favoriscano l'incontro tra saperi diversi, riconoscendo loro la capacit? di trovare soluzioni innovative a nuovi scenari?

Lasciatemi dire che questa, oltre che una riflessione ? un mea culpa, considerando che io stessa mi occupo di cultura (e anche di politica). Personalmente per consolarmi ho inventato un universo parallelo di riunioni carbonare sulla rupe a cui non sono ammessi coloro che hanno pi? di trent?anni e sette mistico-religiose che proibiscono agli adepti il confronto e lo scontro con gli adulti. Una riflessione seria purtroppo evidenzia il nostro (e lasciatemi includere tutti coloro che operano nella cultura in citt?: nessuno si senta escluso) graduale allontanamento da una realt? con cui fatichiamo a confrontarci e che per questa ragione trascuriamo.

I nostri progetti culturali sono mirati ad un unico ambito di persone: italiani, oltre i 40 anni, ceto sociale medio-alto. Detto in altre parole i nostri progetti culturali sono indirizzati a noi: ce la cantiamo e ce la suoniamo ed alimentiamo la nostra autostima lamentandoci della scarsa partecipazione della citt? ai nostri mirabili e a volte cari (nel senso di costosi) eventi.

La citt? dovrebbe essere un luogo di confronto e di scambio di relazioni vitali e dinamiche, che crescono sostenendo la creativit? dei giovani la abitano. Ed ? soprattutto nel rapporto che instaura con le generazioni giovani che si gioca la sua capacit? di rigenerarsi. Dobbiamo considerare vitale nella progettazione culturale il coinvolgimento dei destinatari diretti dell'intervento, incontrarli sul loro terreno e nei luoghi che frequentano. Dobbiamo pensare nuove politiche culturali che sperimentino percorsi di contatto dentro il circuito dei locali: birrerie, enoteche, pub, discoteche (si, proprio nei covi dell?inquinamento acustico notturno), nei luoghi stessi dove i giovani incrociano le loro strade e che coinvolgano chi si occupa di linguaggi artistici, codici creativi (musica, teatro, arti visive, graffiti, fumetto) e nuove tecnologie.

Una possibile soluzione ? chiedere.  A loro. Ai giovani.

Cosa vogliono fare? Cosa dovremmo fare? Cosa non facciamo? Cosa non dovremmo fare?

Se l?amministrazione comunale mettesse a disposizione uno spazio sul sito della citt? per dare una voce agli under 40, forse il primo contatto con l?alieno sarebbe facilitato. Un pizzico di sussiego in meno e un pizzico di partecipazione in pi?.

 

 

Pubblicato il: 13/06/2005

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