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Quando difendevamo insieme i brigatisti

Fausto Cerulli

 di Fausto Cerulli

Torna alla ribalta l’avv. Baccioli, un avvocato assai diverso dagli avvocati dello strillo istituzionale, quelli che difendono le cause a peso d’oro, e fanno diventare d’oro, come Mida, le cause che toccano. Baccioli, oggi, difende la brigatista del trenino, e non poteva essere diversamente. Gli avvocati con il pedigree, quelli con ottocento segretarie e quattro autisti, non si sporcano le mani con i brigatisti, meglio i mafiosi assassini per denaro e per potere potere; meglio le congiunte di qualche boss della politica, che mette al mondo un figlio per celebrare l’assassinio di un altro figlio, meglio le parricide con lo psichiatra di scorta. Si guadagna meglio, si va da Costanzo, si tratta con la stampa l’intervista a peso d’oro, e magari si conquista una cattedra universitaria nelle facolt? del diritto stortignaccolo.  Baccioli appartiene a un'altra razza di avvocati, la razza in via di estinzione che crede che un avvocato debba difendere anche l’indifendibile, fare la parte dell’antitesi, per principio, contro la tesi accusatoria, nella speranza che la giustizia sia capace di fare una sintesi. Ho conosciuto Baccioli al primo processo alle Br, nell’aula bunker del Foro Italico: le gabbie piene zeppe dello zoo brigatista, quattro guardie per ogni brigatista, e i giornalisti che ienavano e sciacallavano come si usava allora. In quella atmosfera di linciaggio, Baccioli si alz? ad esprimere un concetto elementare e profondo, un concetto che altri aveva sollevato in processi politici. Veniva in mente il processo di Norimberga, il processo a Rosa Luxembourg ed agli spartachisti, i processi agli anarchici. Il concetto era ed ? che se un gruppo decide di lottare contro il potere istituzionale in quanto tale, non pu? essere sottoposto a processo da questo potere: i vinti non possono essere giudicati dai vincitori, perch? manca la terziet? del giudice, il giudice essendo una emanazione del potere che ha vinto. Baccioli, con un linguaggio pacato e tranquillo, gett? lo scompiglio nell’aula bunker; e tutti si chiesero chi fosse questo Baccioli che si poneva fuori dalle regole del gioco, e parlava dei brigatisti come dei componenti di un esercito in  guerra e ricordava princ?pi elementari del diritto penale internazionale. Non chiedeva l’impunit? per i suoi assisititi, chiedeva soltanto che a giudicarli fosse un Tribunale internazionale, di cui non facessero parte magistrati per forza di cose prevenuti, colleghi ed amici di altri magistrati morti in quella guerra che allora era guerra, e come tale considerata da tutti. Baccioli: chi ? costui, si chiesero tutti quella mattina, e si affannarono a ricostruire la biografia di questo avvocato non pi? giovane, che non faceva parte del Gotha dell’Avvocatura Italiana, che non aveva nessuna cattedra universitaria da cui NON fare lezione, ricavandone solo nome e prestigio, come gli Avvocati Avvocati di questa Italia in cui anche la madonna, in una preghiera a larga diffusione, viene chiamata Advocata Nostra. Accadde allora che gli Avvocati di grido prendessero le debite distanze dall’eretico Baccioli, e lo lasciassero solo con la sua tesi difensiva che era la sola ad avere una qualche statura giuridica in quel guazzabuglio di pentiti illustri, di ministeri che si costituivano parte civile, di mori morti ammazzati due o tre volte. Baccioli, ovviamente, corse il rischio di essere incriminato. Succede, agli avvocati che credono in quello che dicono e che dicono cose in cui non sta bene, secondo il buon senso comune cattocomunista ( che non ?, paradossalmente, roba recente, ma roba di secoli di controriforma), non sta bene neppure pensare, figurarsi dirle e dirle in un aula di giustizia piena di riflettori, e di giornalisti pagati un tanto a ingiuria e un tanto a richiesta di giustizia sommaria. Baccioli scamp? all’incriminazione: ma la sua tesi non scamp? alla giustizia che rivendicava, contro Baccioli e contro il diritto delle genti, di farsi giustizia da sola.  Baccioli scomparve dalle cronache giudiziarie; ma ogni volta che un brigatista veniva arrestato, a meno che non fosse il figlio di qualche ministro o il nipote di qualche deputato, nominava difensore di fiducia Baccioli; dove la fiducia voleva dire soprattutto sfiducia nella giustizia in cui giudici ed avvocati difensori ed esponenti della pubblica accusa si danno le pacche sulle spalle e vanno a cena insieme.  Conobbi Baccioli per caso, in qualche pausa di quei processi interminabili ed inutili, in cui tutto era stato deciso, bene o male. Parlavamo molto, io che ero alle prime armi ( accidenti, mi scappa sempre qualche termine barricadiero) e lui che aveva fatto per anni ed anni l’avvocato di provincia nella maremma grossetana, ed era nato pure a Manciano, e non si occupava di politica spoliticata; era un comunista all’antica, di quelli che la tessera gliela tolgono per indegnit? politica solo perch? si ostinano a ragionare con il proprio cervello comunista, pi? o meno come faceva quell’eretico di Lenin. Ogni tanto ci incontravamo la mattina presto alla stazione di Orvieto: a lui piaceva passare tre o quattro giorni ad Orvieto, forse gli piace ancora, e la mattina prendeva il primo treno, quello dei pendolari, con la sua borsa gonfia di carte che non servivano a nulla, perch? la giustizia ha sempre pi? carte di tutti gli avvocati messi insieme. Non disdegnava un cicchetto di brandy, in quelle mattine di troppa nebbia; e gli si scaldava il sangue gi? caldo di toscano. E mi parlava dei suoi assistiti brigatisti, e non faceva lo snob a chiamarli compagni. Poi ci siamo persi di vista.  Adesso leggo di nuovo il suo nome, e riconosco il suo puntiglio; lo riconosco quando tutta la stampa scrive che la brigatista della domenica si ? riconosciuta colpevole dell’omincidio Biagi; e lui, il Baccioli di sempre, precisa che la brigatista ha solo dichiarato che quell’omicidio, se davvero lo hanno commesso suoi compagni di buona o malafede, lei ? costretta a metterlo nel suo bagaglio. Baccioli, mentre si celebrano giustamente i funerali di Stato in nome di uno stato a zigzag, star? giocando a briscola in qualche bar di Grosseto: dalle parti della Stazione, cos? fa presto a partire quando lo chiama il prossimo brigatista senza spalle coperte. A briscola, sembra, ? un maestro: anche se non ha mai l’asso della fama nella manica stretta della sua personale giustizia giusta. Un avvocato che sarebbe piaciuto a Montanelli, e non dovrebbe dispiacere a Feltri.  

Pubblicato il: 06/03/2003

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