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NOTIZIE CORSIVI

Orvieto racconta

Nello Riscaldati

Scrissi quanto segue circa 25 anni fa come introduzione all' ?Antologia dei Poeti e Verseggiatori Orvietani del Secolo XX? da me curata. Immaginai la citt? che raccontava, come una nonna ai nipoti, i suoi acciacchi, i suoi dolori, i suoi malanni e confidava ai medesimi le sue paure e le sue speranze.

Dopo un quarto di secolo mi permetto riproporre il brano all'attenzione di coloro che non hanno avuto modo di leggerlo allora e sempre che ne siano ora interessati:

 

A futura memoria

 

?Il mio nome oggi ? Orvieto. Sono nata tremila anni fa, secolo pi? secolo meno, da genitori etruschi venuti da chiss? dove ma sicuramente di buona famiglia. La mia prima infanzia fu abbastanza tranquilla pure se ho dovuto sopportare i frequenti litigi dei miei abitanti che per?, tra una lite e l'altra, mi avevano rivestita di strade, di abitazioni, di templi e di monumenti. Insomma non dico che ero ricca ma stavo abbastanza bene ed ero considerata anche importante. Fino a che, un brutto giorno, perch? sembra che un brutto giorno debba esserci per forza nella storia di ciascuno di noi, un brutto giorno dunque arrivarono i romani i quali uccisero, saccheggiarono, incendiarono e cacciarono i pochi scampati all'eccidio che si rifugiarono poi sulle rive di un grande lago mio vicino dove fondarono una nuova citt?. Cos? io restai orfana, nuda e sola, ed in questo stato sono vissuta per pi? di mille anni in mezzo a pecore, capre e vecchi bacucchi.

 

 Poi mi ricordo che verso la fine del primo millennio dell'era volgare, uomini e donne, poco per volta, anno dopo anno, tornarono ad eleggermi come stabile dimora. Parlavano una lingua diversa da quella che avevo appreso nella mia infanzia ma li compresi ugualmente e questi miei nuovi figli si dettero anche loro un gran da fare nel costruirmi sopra case, torri, palazzi, chiese e monumenti confezionandomi cos? un vestito tutto nuovo tanto che io, anche se in et? matura, mi risentii di nuovo giovane, libera e potente almeno per un paio di secoli. Poi  ricominciarono di nuovo le liti, la libert?  mi fu tolta, cessai di essere un libero Comune e fui costretta a cercarmi un padrone sicuro, padrone che trovai nello Stato della Chiesa al quale non dispiacque affatto di accogliermi sotto l'ombra del suo gran manto. Per fortuna che i miei cittadini avevano gi? cominciato a fabbricarmi il Duomo!

 Da quel momento e fino ad ad oggi la mia storia non presenta vicende di particolare rilievo. Ho vivacchiato cos?, tra una pestilenza e l'altra, come hanno fatto tante mie sorelle pi? grandi e pi? piccole.

 Per? qualche rimpianto ce l'ho: per esempio, ho il Duomo pi? bello del mondo ma non ho neppure uno straccetto di Santo che porti il mio nome nel senso di ?S. Tizio da Orvieto?. E pensare che sono circondata da citt? che ne sono piene zeppe, come Siena, Cortona, Viterbo, Cascia, Assisi, Bagnoregio e via dicendo.

 

 Ce l'ho anche a morte con Fazio degli Uberti il quale sostenne che il mio nome attuale, anche se lui mi chiama ?Urbivieto?, derivi dal fatto che i vecchi romani venivano a vivere quass? ?perch? l'aere v''? sana?.

 Insomma qualcuno potrebbe anche pensare che io sia stata una specie di ospizio, insomma una grande ?S Giorgio? dell' Impero Romano.

 E non ho mai perdonato a Dante di aver ricordato le liti dei miei cittadini e di essersi scordato del miracolo di Bolsena. Chiss?, forse  l'evento  non fu divulgato a sufficienza o fu presto dimenticato,...?! Non lo so, ma la cosa mi rimane ancora di traverso.

 

  Lasciamo i risentimenti e veniamo invece ad oggi perch? quello che a me interessa e il raccontarvi qualcosa di come sono io oggi,  A.D. 1987, in modo che voi un domani, volendo, possiate procedere ad un confronto.

 Ma non vi parler? di cose ?storiche? anche perch? al momento non ne ho per le mani, no vi parler? di cose piccole, quotidiane, cose che nessuno nota e annota, insomma vorrei raccontarvi, cos? a braccio,  quello che mi viene in mente.

 

 Per esempio l'anno scorso, 1986, ho visto nascere 158 bambini, un po' pochi in verit?, dei quali 76 maschi e 82 femmine. Il nome preferito dai genitori ? stato per i maschi Andrea e Francesco e per le femmine Elisa e Francesca.

 

 Ho parecchi anziani sulle mie spalle e la cosa mi preoccupa molto perch? tanti sono soli e malati, e so che la cosa si andr? aggravando negli anni a venire e cos? ho paura di diventare  davvero ?la citt? dei vecchi?, come diceva appunto quel tale Fazio.

 

 Anche il mio stato di salute ultimamente non ? stato buono, specie per via dell'umidit? che, come si sa, per gli anziani ? micidiale. Fortuna che sono stata ben curata ed al momento i miei strapiombi sembrano sentirsi un po' pi? sollevati. Mi hanno anche promesso una funicolare nuova. Quando sar? funzionante mi sentir? ancora meglio.

 

Ma andiamo avanti, l'anno scorso, 1986, si sono unite in matrimonio 127 coppie, ma so gi? che qualcuna di queste non durer? pi? di un paio d''anni. Da ogni coppia nasceranno un figlio virgola qualcosa il che vuol dire che i miei abitanti sono destinati a calare di numero.

 I miei anziani sono molti ma in giro se ne vedono pochi perch? le mie strade sono state aperte per il rifacimento della rete fognante, poi sono state richiuse, poi l'anno scorso ancora aperte per la posa degli impianti del metano. Insomma ? un apri e chiudi  continuo. Le poche strade e le piazze dove i lavori sono gi? terminati o non ancora iniziati sono ingombre di automobili e il poco spazio rimasto ? molto  trafficato e pericoloso per chi va a piedi.

 

 In questi ultimo anni mi hanno stiracchiato da tutte e parti, dalla Segheria a Sferracavallo e, per, ultimo, oltre il Paglia, fino a Cicon?a- Mossa del Palio. Quartieri nuovi con tutti i servizi, ma cos? brutti e mal concepiti sia per la disposizione che per la forma  che io, se penso all'armonia e alla dignit? antica della mia Rupe, per la verit?, mi vergogno un poco e non ho ancora deciso se considerarli parte di me o pi? semplicemente un suburbio-letto.

 

 La famiglia media, il ?foco? di un tempo, che vive sulle mie spalle ? composta di 2,88 persone. La met? circa delle famiglie di tutto il mio comune, che al 30 aprile 1987 erano 7.691, ? proprietaria della casa dove abita, il 90% ha un'automobile, molte pi? di una e anche pi? di un televisore. Tutte hanno la lavatrice, meno le famiglie di quelle donne che lavano ancora i loro panni  nella Fontana delle Conce ed io non ho ancora capito se costoro sono le mie donne pi? povere oppure le ultime  capaci di trovare il tempo e assaporare il gusto di insaponare sciacquare e risciacquare le loro lenzuola, mentre si raccontano le cose del giorno e anche quelle della notte, con i piedi gonfi, appoggiati su di una grossa e consumata pietra, gomito a gomito l'una con l'altra.

 E vorrei porre all'attenzione dell'Azienda Turismo l'annotazione di cui sopra. Fate vedere ai turisti le lavandaie delle Conce perch? sono la mia immagine vivente pi? antica perch? queste donne lavano oggi i loro panni esattamente come facevano le loro nonne etrusche di tremila anni fa. E cambiata solo la marca del sapone. Conservatene dunque l'immagine. Dedicate a queste donne almeno un servizio fotografico. Se lo meritano perch? sono le ultime e sono le ultime perch? sono sempre le stesse.

 

  Per difendermi dall'invasione dei pullman carichi di turisti che si spingevano su fino a Piazza del Duomo sono stata costretta a mettere in atto una piccola manovra dissuasiva. Un giorno dello scorso anno ho lasciato che si aprisse una buca, una piccola buca, sulla strada di S. Paolo all'altezza del Cipresso ed un pullman vi ? finito dentro. Da quel giorno li tengo tutti bloccati al piazzale Cahen. Quando mi avranno tolto i pullman dalle scatole alloggiandoli in basso nei parcheggi dei quali si discorre da anni allora tirer? davvero un grande sospiro di sollievo.

 

  La sala consiliare del mio Palazzo comunale ? occupata quasi in permanenza oltre che da riunioni del Consiglio, anche da quelle di Enti, Associazioni, Fondazioni etc.  che dibattono e ridibattono sugli argomenti pi? vari per ore e ore. Le sedute insomma sono pi? lunghe che per il passato e lo sono perch? da qualche tempo la nascente televisione orvietana ha piazzato una telecamera, la quale inquadra imperterrita e senza pudore, tutti gli oratori i quali non si sarebbero mai sognati di poter comparire sul video per un tempo tanto lungo e cos? a buon mercato.

 La conseguenza ? che oggi gli oratori non iniziano pi? i loro interventi con il dire ?sar? breve?, ma con? ritengo necessario fare anzitutto alcune premesse?, e cos? premettono, espongono, promettono, riaffermano e ribadiscono una quantit? di cose e fino a tarda notte. Detti oratori hanno migliorato e di molto il loro ?look? ponendo maggior cura sia all'abito che al capello ed i pi? sprovveduti hanno cominciato pure a tentar di prendere dimestichezza con il vocabolario, la grammatica, e soprattutto la sintassi. Il dramma comincia per? subito dopo, e cio? quando la suddetta emittente ti ripropone tutta la seduta in edizione integrale compresi gli sbadigli, i commenti sottovoce, gli stiramenti di schiena, gli sfulinamenti di naso e cos? via.

 

 Vengo alla conclusione. Forse non l'ho fatta ma se non l'ho fatta la faccio adesso ed ? una confessione: io, miei cari cittadini, da un po' di tempo soffro di solitudine, sissignori, a dirla tutta soffro di una solitudine allucinante. Solo il gioved? e il sabato, per via del mercato mi viene somministrata una boccata d'ossigeno perch? riascolto per qualche ora il chiasso  festoso di un tempo andato, riascolto la mia lingua e il mio linguaggio ed ? appunto quando i figli parlano e la citt? li comprende che la citt? si accorge di essere ancora viva. Il linguaggio di un luogo va salvato. Salvare i monumenti non basta. Se non c'? qualcuno che li fa parlare i monumenti restano muti, cosi come pure se sono loro  a non riuscire a parlarvi. E una cosa muta ? sempre una cosa morta.

  Dicevo del chiasso festoso del gioved? e del sabato, aggiungiamoci pure il ?passeggio? per il Corso la sera, certo sono cose che mi danno sollievo ma durano poco perch? quando si fa notte il silenzio ? veramente assoluto.

  Ed ? allora che io ho paura, paura di rimanere sola, sola con i miei acciacchi, con i miei pochi giovani, con i miei tanti vecchi, con i malati del mio ospedale e, forse, un giorno sola del tutto.

 

  Ed ? in questo che consiste il mio ?Terrore del Terzo Millennio?! Spero tuttavia che i miei figli di questo scorcio di secolo riescano a portare a termine quanto hanno oggi in mente o in cantiere facendo in modo che alla fine del secondo millennio  si possa brindare tutti insieme ad un felice inizio del terzo.

 

 E con una sincera e robusta stretta di mano  auguro a coloro che  in questo momento mi stanno camminando sopra una lunga e serena vita di lavoro e in buona salute.

 

  La Citt? di Orvieto nel maggio 1987

 

Pubblicato il: 26/10/2011

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