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Del Premio Barzini si pu? fare a meno

Fausto Cerulli

Mi trovo ad intervenire con qualche titubanza, nota come mia qualit? essenziale ai miei trentacinque lettori, sulla questione del Premio Barzini. Premetto che Guido Barlozzetti, mentore in qualche modo del Premio, e suo factotum, meriterebbe vedere confermata la iniziativa; altro non fosse che per il garbo e l?ironia con cui conduce la cerimonia della premiazione e la rende meno cerimoniosa.   Dato a Guido quello che ? di Guido- anche perch? si ? preso la briga di presentare un mio libercolo poetico- vorrei fare qualche notazione generale sul Premio. Partiamo dal nome; l?hanno voluto intitolare a Luigi Barzini, icona del giornalismo, anche se liberale di molta destra, come del reso il mio amato Montanelli, si parva licet.. Ma il punto ? che ai Barzini, di origine orvietana, Orvieto non ha mai suscitato particolare affetto ed attenzione. E parlo per quello che so personalmente. Conobbi Barzini junior, detto jr, quando facevo pratica legale da Domenico Moretti, grande avvocato, podest? che accolse Mussolini senza essere fascista. I podest? fascisti vennero dopo, e fecero Camorena. Ma non voglio divagare: mi accadeva di pranzare con Barzini il giovane, insieme al mio maestro detto Meco. E Barzini parlava di tutto meno che di Orvieto; non gli sembrava una citt? degna della sua fama di giornalista, figlio di giornalista, in giro per il mondo come il padre, ma senza le ficcate del padre. Dico la verit?, a costo di inimicarmi qualche Barzini viva e vivace: a Barzini, di Orvieto, non gliene poteva fregare meno. Qualcuno magari potrebbe smentirmi, con documenti, lettere- scripta volant- ma io sentivo le sue parole- e verba manent.  Non capisco per quale motivo si sia pensato di dedicare il premio ad un giornalista che con Orvieto non aveva molto a che fare. Forse per mancanza di altre glorie locali. Lo dico con rancore, io ho scritto a lungo su un giornale a diffusione nazionale: pensate che bello un Premio Cerulli? scherzo, pi? che ovviamente. Ma mi resta il dubbio che si sia scelto Barzini in mancanza di meglio; senza offesa, di nuovo, per Claudio Lattanzi o Laura Ricci o il Fausto Cerulli dei trentacinque lettori.  Un altro appunto. Gli orvietani, il Premio, non ? che se lo siano filato molto. Bastava andare al Palazzo, il giorno del premio; giornalisti da tutta Italia, giornalisti affermati e giornalisti in cerca di affermazione; e gli orvietani li potevi contare sulle dita di una mano monca. I giornalisti si parlavano addosso, si davano del tu, si chiamavano per nome, ammiccavano, erano la casta. Contenti gli albergatori, e i ristoratori di lusso.  Ma non era il Viareggio, e neppure lo Strega e neppure il Luxardo che piace ad un mio amico profugo. E vengo al sodo della questione; dobbiamo dare per scontato che da qualche parte bisogna tagliare le spese, come fanno in tutto il mondo, se non vogliamo tagliare gli attributi alla citt?. Leggo che Concina ha messo i piedi nel piatto, ha detto e scritto che non ci sono soldi, che il Barzini costa troppo, che magari se ne pu? fare una edizione biennale.  Ma la sinistra cosiddetta insorge; Barzini non si tocca, chi tocca Barzini ha qualche motivo occulto, magari biecamente reazionario. Cari compagni della sinistra cosiddetta, a voi del Premio Barzini non ve ne frega un tubo; avete dimostrato di essere geneticamente alieni alla cultura, lo dico senza offesa; io, per esempio, sono alieno alla caccia.  Via, se fosse stato un premio dedicato a Pasolini, o a Gramsci. che pure fu giornalista, avrei magari capito il furore della mia passata sponda politica; ma Barzini, oltretutto, non era certo di cultura di sinistra; era un liberale molto liberale, molto contrario alla sinistra. Ed ora la sinistra lo porta sugli altari. Opposizione per fare opposizione. Ogni occasione ? buona, purch? non sia una occasione politica: la politica, ad Orvieto, ? morta o moribonda.  Se bisogna tagliare sulle spese, e credo che non si possa negare, tagliamo i rami secchi; anche se si chiamano Premio Barzini. Con tutto l?affetto per Guido Barlozzetti, che era l?anima vera del Premio. Diciamo pane al pane, e giornalisti ai giornalisti.  Possiamo fare a meno delle loro masturbazioni di casta. Abbiamo altri bisogni. Passo e chiudo. Un abbraccio a Guido, che adesso mi sputtaner? con il suo consueto garbo di ironia, come conciniano, se dar ragione a Concina, quando ne ha, significa sputtanarsi. Chi mi conosce, e sono pochi, sa che prendo partito senza essere di partito. Ragiono, nel mio piccolo, da comunista a piede libero, per ora, ed a coscienza pulita, spero per sempre.

Pubblicato il: 18/05/2011

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