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E? ANCORA POSSIBILE STUDIARE E LAVORARE IN DEMOCRAZIA ?

Mario e Chiara Tiberi

Alcuni mesi orsono, redigemmo un articolo giornalistico avente a tema il nocciolo vitale di ogni umana esistenza, quale ? il lavoro, e sostenemmo la irrinunciabile necessit? che, per rifondare su basi pi? avanzate di giustizia e di uguaglianza nella libert? la democrazia della societ? italiana, l?unica via da percorrere fosse quella della riqualificazione morale e politica delle arti, dei mestieri e delle attivit? professionali nelle loro pi? ampie articolazioni.

Ci era sembrato di aver esperito un?analisi compiuta e completa o quasi; poi, la lettura di una dichiarazione rilasciata da un giovane tunisino, profugo in Italia, ci ha aperto nuovamente gli occhi e condotto a superiori e pi? approfondite riflessioni.

Detto giovane ha lapidariamente sostenuto che in Tunisia sotto la dittatura, prima dei moti rivoluzionari di inizio anno, era lecito e consentito non altro se non che studiare e lavorare quando, al contrario, ogni diversa e libera iniziativa personale veniva negata e repressa con la sola eccezione dell?inconculcabile, platonico ?silenzioso dialogo dell?anima con se stessa?.

Di certo, trattavasi di uno studiare e di un lavorare altamente spersonalizzanti poich? i totalitarismi, nel pieno della loro furia liberticida, approdano sempre e soltanto ad un lido funesto: bandiscono le differenze. Tutto ci? ? talmente vero al punto che non pu? rappresentare, per nessuna ragione al mondo, un ideale perseguibile quello che distrugge e annienta le inviolabili identit? personali e le libere volont? individuali.

Non era possibile non reagire di fronte a tali concettualit? e la spinta reattiva ? stata veemente, per determinati aspetti forse inimmaginabile e, non da ultimo, diametralmente opposta a quella che ci si poteva attendere. Per gesto di ironia variegata da venature di sarcasmo, la nostra indignazione per la ridicola teatralit? tragicomica, nella quale l?amato ?Bel Paese? ha deciso di calarsi, si ? accesa allorquando abbiamo intuito la portata storica del doverci confrontare con il seguente assunto: nella dittatura tunisina, come anche in ogni altra dittatura, si studiava e si lavorava mentre tutto il resto era precluso; nella nostra democrazia sembra che tutto sia lecito e permesso fuorch? studiare e lavorare.

E?, allora, forse preferibile un governo tirannico che impone lo studio obbligato e il lavoro forzoso piuttosto di uno, formalmente democratico, che non ne offra la libera possibilit??

Il ragionamento ? ovviamente assurdo e paradossale; ? per?, contestualmente e al tempo stesso, emblematico e metaforicamente rappresentativo dell?attuale, triste ed allarmante, condizione socio-politica italiana. Volutamente e consapevolmente si sta distruggendo il sistema scolastico e universitario, sia concretamente attraverso tagli finanziari indiscriminati a lama affilata e a cagione dell?approvazione di una riforma che ne ha snaturato la sua originaria funzione costituzionale immiserendolo, e sia per infondate e surreali insinuazioni che assomigliano spesso e volentieri a vere e proprie calunnie da parte di chi, pur rivestendo ruoli di primaria responsabilit?, non conosce nulla o quasi dei reali ambienti dell?istruzione formativa non vivendoli direttamente e, quindi, non immedesimandosi in essi. E il distacco paranoico e progressivo dalla realt? ? quanto di pi? inquietante e pernicioso che possa esistere.

Alla stessa stregua viene ormai valutato il lavoro, bistrattato e vilipeso: ? praticamente introvabile e, se per ventura lo si rintraccia, assume novanta su cento la connotazione di una squalificata dequalificazione; non ? pi? avvertito come un dovere, un diritto e un valore ma, sia detto senza offesa, aleggia come un incubo permanente essendo divenuto l?ossessione dei disoccupati e l?amarezza di coloro che, a stento, ?vivacchiano?, non sentendosi ricompensati da una mercede affatto remunerativa in termini di soddisfazione materiale e di realizzazione personale.

Il disagio sociale ? evidente e diffuso, ma ognuno lo vive ?uti singulus? dalla propria prospettiva egocentrica; divisi come non mai, immersi nel loro non sempre cosciente egoismo e individualismo, i potenziali prestatori d?opera cantano stonati le note disarmoniche di un cantico intriso di rabbia, di denuncia e, purtroppo, perfino di autocommiserazione.

Non da cos? scissi e pervicacemente isolati dal contesto comunitario che si pu? affrontare e vincere la sfida, ma uniti in un coro concorde e globale di vociante e vibrante protesta.

 

Pubblicato il: 23/04/2011

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