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SI PUO? ESSERE ANCORA FELICI !

Mario Tiberi

Nonostante tutto, nonostante i tempi aspri e angoscianti, nonostante le umane relazioni improntate pi? allo sfruttamento dell?uomo sull?uomo che alla concordia solidaristica, si pu? essere ancora felici ed ? imperativo etico tendere ad esserlo.

La felicit?, per?, rimane avvolta nell?aureola della chimera utopica se non ci si adopera, con ogni energia intellettuale, per addivenire alla sua conoscenza maggiore possibile. Mai, infatti, si ? troppo giovani o troppo vecchi per conoscerla a fondo; a qualsiasi et?, del resto, ? avvincente e doveroso occuparsi del benessere del corpo e parimenti e soprattutto di quello dell?anima.

Chi sostiene che non ? ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza della felicit?, o che ormai ? troppo tardi, ? come se andasse predicando che non ci sar? mai un?epoca della propria vita per essere felici, o che ormai ? passata l?et?. Ed ? cos? che risulta profondamente giusto, sia da fanciulli come da anziani, che ci si dedichi a conoscere la felicit? per sentirsi sempre giovani, quando si sar? avanti negli anni, in virt? del dolce ricordo di essa avuta in passato e, nella verde et?, per prepararsi a non temere l?avvenire.

In primo luogo, per non temere il futuro, bisogna non temere la morte ed, anzi, l?accettare serenamente la misteriosa signora dal mantello nero, l?imparare a prendere confidenza con le sue movenze e la sua personalit? escatologica, il convincersi che la sua pi? intima essenza ? ci? che di pi? naturale vi sia, allevier? il pensiero ossessivo di lei, getter? luce nel buio dell?ignoto e, infine, le render? giustizia. E?, infatti, da tutti ritenuta come il nemico per eccellenza e il peggiore di tutti i mali, mentre nessuno la conosce per davvero quando potrebbe anche essere il migliore di tutti i beni; e voler giudicare per ignoranza ci? che non si conosce ? immorale ed ingiusto.

Per secondo, vanno considerate in somma misura l?indipendenza e la libert? dai bisogni materiali, non perch? ci si debba sempre accontentare del poco, ma per assaporare fino in fondo il gusto anche del poco quando non ci ? concesso in sorte di poter aspirare ad avere di pi?. In fin dei conti, ci? che veramente serve, e cio? l?essenziale e il necessario, non ? difficile a trovarsi mentre l?inutile, e cio? il superfluo e il voluttuario, richiede grande dispendio di sforzi per misere briciole.

Per essere prima sereni e poi felici, va ingaggiata gagliarda e vigorosa ?singolar tenzone?: quella contro l?ansia e l?apprensione derivanti dall?avido accumulo fine a se stesso.

Da ultimo, principio e bene supremo per una esistenza felice ? l?intelligenza, madre di tutte le virt? terrene. Codesta ci sostiene e ci aiuta a comprendere che non pu? essere vissuta una vita felice senza che sia, essa stessa, sapientemente intelligente, esteticamente leggiadra e moralmente giusta come non pu? esistere vita intelligente, leggiadra e giusta se priva di felicit? perch? le virt?, tutte le virt?, sono connaturate alla gioia di vivere e da questa inseparabili.

E? meglio essere saggi che fortunati e stolti e, nella pratica del quotidiano, ? preferibile che un ben congegnato progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato.

Allora ? da ricercare, con pazienza e tenacia, che le prospettive infauste decadano: felicit? potr? essere una societ? dove gli ultimi non restino sempre tali, dove i governi siano all?altezza dei compiti loro assegnati, dove all?arroganza e alla superbia dei rozzi potenti sia sostituita la mitezza e l?umanit? dei saggi intelligenti.

Tutto ci? a cominciare dal basso e dal circoscritto, perch? per noi comuni cittadini ? concausa di infelicit? la costrizione di una rappresentanza politica e istituzionale che avvertiamo, ogni giorno di pi?, mille miglia lontana dal nostro sentire e, dunque, caduca e prossima alla fine.

Al contrario, ?non sembra pi? nemmeno mortale l?uomo che vive fra beni immortali?. (Lettera XIV a Meneceo).

Pubblicato il: 07/04/2011

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