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L?importante ? vincere, non partecipare. Ma ne siamo proprio sicuri?

Mario Tiberi

In un mondo di per s? meraviglioso e ricco di umana talentuosit?, di scoperte scientifiche e culturali, di invenzioni tecniche e tecnologiche, assistiamo tuttavia, troppo spesso, ad una assente percezione dell?appartenenza a una umanit? che andrebbe protetta e salvaguardata e non certo danneggiata dall?esasperato inseguimento di illusori obiettivi a breve termine.

Viviamo un?epoca nella quale il buon senso viene non di rado a mancare e, senza di esso, si accelerano le distorsioni di pensiero, di ragionamento e di modo di vedere e concepire la realt? circostante; in un mondo, insomma, offuscato da spietate lotte di potere e di denaro, ne viviamo il disincanto che credevamo non lasciasse pi? spazio allo stupore. E invece, proprio quando si ? soliti dire ?non ci meravigliamo pi? di niente, ormai abbiamo toccato il fondo?, spuntano sempre qualcosa o qualcuno che ci lasciano stupiti e increduli.

Frequentemente ci si lamenta dell?odierno contesto socio-politico attraverso l?affermazione che la nostra ? solo una democrazia apparente, celante demagogici calcoli elitari o addirittura totalitari in funzione dei quali, chi ne ? a capo, ? convinto, o vuole convincere, di credere in principi, tanto intellettuali quanto morali e politici, validi e benefici, quando invece l?unico scopo ? vincere annientando l?altro.

In questa guerra al massacro non prevalgono, e dunque non vincono, le idee, i valori, i progetti i cui risultati soddisfino l?intera collettivit? che, a sua volta, pu? quindi riconoscervisi fino al punto da poter dichiarare, con onest? e sicurezza, che quella ? la vera maggioranza in grado di rappresentare il popolo tutto. Al contrario, in un meccanismo insano vincono le singole persone: la loro personalit?, il loro carisma, il loro saper incantare, adulare, confondere la realt? con l?apparenza.

Ed ? in tal guisa che si formano le aggregazioni e le maggioranze attorno ai leader, troppe volte cos? definiti a sproposito poich? il metro di giudizio non pu? essere solo quello che calcola la vittoria in termini di mera abilit? o astuzia. Ad onor del vero, ci si sofferma per? raramente a ragionare che il ?marcio? sta s? nei vertici delle gerarchie, ma non in dose superiore rispetto alle sue basi.

La vera questione ? allora questa: se l?infezione non riguarda solamente le foglie pi? esterne e pi? in alto, ma coinvolge anche il tronco e le radici, l?intera pianta ? malata e la terapia per salvarla appare ardua, se non impossibile. Il ?marcio?, cos? ben sedimentato e radicato, non ? agevole da estirpare!.

Ci? che sembra caratterizzare il presente ? il prototipo del vincente. Ma tale ? l?ideale cui tendere? E? questo l?obiettivo principe, il massimo a cui si pu? aspirare? Si deve veramente concedere fiducia a personaggi per il solo fatto che incarnano il simbolo della forza, del potere, del successo e della vittoria?.

Ebbene s?: per alcuni, non sappiamo quanti e speriamo ormai in diminuzione, questo ? ci? che conta e basta e avanza per affidarsi nelle mani dei pi?. Senza porsi troppe domande, senza mettere in discussione troppe fatue certezze, si segue ciecamente un?unica direzione: quella che porta alla vittoria, non tanto perch? ci si creda per davvero ma, semplicemente, perch? ? la vincente. Ed ecco le ?pecorelle?, unite e tenute insieme in un unico gregge soltanto dal desiderio di sovrastare e sopraffare gli altri, che mettono in mostra la loro illusoria forza!.

Anche volendo seguire ed accettare la concezione della potenza di un solo uomo e della sua vittoria, il ragionamento per cui ? meglio stare nelle maggioranze vincenti, solo perch? vincenti, ? contraddittorio e quindi poco pregnante e convincente. Nietzsche, sicuramente estremizzandola pericolosamente, nel teorizzare la figura dello ?Uber-Mensch? come l?uomo pi? coraggioso di tutti i tempi e che avrebbe vinto su tutto e su tutti, denigrava le maggioranze riunite in un gregge delineandolo come pavido e stolto.

Se aderire ad una maggioranza, di qualunque natura e non solo politica, vuol dire omologarsi a questa perch? in quel momento risulta essere la vincente, evidentemente ? soltanto un modo per nascondere a se stessi e agli altri la propria povert?, ?in primis? intellettuale e poi morale. Le molte insicurezze, debolezze e fobie si rendono forti nel segno della maggioranza che tutte le ingloba e protegge. Chi sostiene di voler appartenere alla maggioranza vincente perch? non ? un perdente e non vuole, dunque, apparire come tale, forse in realt? lo ? pi? di tutti. Forse ha bisogno del maggior numero per non dover sostenere l?incombenza del proporsi e del confrontarsi con il rischio, conseguente, di non essere accettato e quindi escluso.

Ed ecco che si giunge cos? all?annientamento della propria identit?: si ?, in tal maniera, pirandellianamente ?Uno, Nessuno e Centomila?!. E come ? possibile, allora, essere dei vincenti?.

In codesto gioco delle illusioni non si produce se non altro che rafforzare unicamente i leader nel mentre tutti i seguaci, alla sua ombra e quasi di nascosto, obbediscono alla legge del pi? astuto e prepotente da loro stessi ingenuamente considerato il pi? forte perch? vincente. Il leader dal canto suo, superbamente e senza mai voltarsi indietro, percorre la sua personale strada trionfante non avvedendosi che la stessa, giorno dopo giorno, lo porter? inevitabilmente alla propria autodistruzione.

Sono, dunque, davvero queste le contese della vita che si vogliono disputare? Quelle disoneste, in cui si tradisce prima di tutto se stessi e la ricchezza della propria umanit?; quelle facili e, in fin dei conti, false e frustranti poich? conducono soltanto a conquiste effimere e apparenti, destinate a scomparire col passare del tempo? Ci? che rimane non ? la fama, il successo, il potere, in s? fuggevoli in quanto meteore passeggere che non rifulgono di luce propria, quanto la disperazione di essersi perduti per niente.

Da ultimo, l?ennesimo paradosso: se l?importante ? stare dalla parte dei pi? soltanto perch? sono i pi?, ora dominanti, ci? dovr? per forza significare che se il corso degli eventi dovesse capovolgersi, per cui una maggioranza si troverebbe ad essere automaticamente trasformata in minoranza sconfitta e perdente, chi aderiva alla prima, solo perch? vinceva, ora si catapulterebbe dalla parte opposta non essendo pi? quest?ultima un anello debole e fragile?.

Se cos? fosse, alle minoranze non resta altro che sperare di non diventare mai maggioranza, pena il rischio di ritrovarsi con del personale umano di cui non ne condivide, anzi ne disprezza e condanna, i miseri pensieri e i vuoti valori.

Pubblicato il: 09/02/2011

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