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Le maggioranze non sempre esprimono i migliori

Mario e Chiara Tiberi

Esiste una norma basilare, incontrovertibile e inattaccabile, a cui ogni persona civile non osa ribellarsi: le Costituzioni degli Stati moderni e democratici sono fondate sul principio assoluto ed universale della ?major pars?, ossia della maggioranza.

Quando i cittadini, con il loro voto libero e segreto, manifestano la volont? con la maggioranza della met? pi? uno di voler conferire il governo della ?res publica? a taluno piuttosto che a tal?altro e, una volta per tutte accolto tale principio nella silloge delle leggi, osservata una politica autarchica oppure cooperativistica, nazionalizzati ovvero affidati alla privata iniziativa porzioni o il tutto di un sistema economico, concepito un piano di sviluppo governato dall?alto invece che regolato dal libero mercato, preferita la libert? dell?insegnamento al monopolio scolastico dello Stato o viceversa, scelto il sindacato unico obbligatorio rispetto ai sindacati plurimi e molteplici oppure il contrario, quando la maggioranza dei cittadini ha votato, direttamente o per mezzo dei suoi rappresentanti, nell?uno o nell?altro senso, le sue deliberazioni diventano definitive, legittime e conformi alla legge.

La questione democratica, e con essa tutte le questioni a lei stessa conseguenti, ? cos? decisa e alla minoranza non rimane che inchinarsi al volere dichiarato dai pi? e ci? ha valore anche se la minoranza sia composta di quarantanove su cento e minima sia la disparit? con la maggioranza dei cinquantuno. Se cos? non fosse, sarebbe certamente pi? antietico e irrazionale che i quarantanove comandino ai cinquantuno di quanto non sia morale e ragionevole che la volont? dei cinquantuno prevalga su quella dei quarantanove.

Tutta la logica del governo democratico risiede in codesto semplice, nudo ed ineccepibile ragionamento.

Tutto giusto, ma agli estensori dello svolgente editoriale tale giustezza non persuade fino al punto da non poterla, quantomeno, sottoporre a giudizio critico e riflessivo. Avvertiamo istintivamente che vi pu? essere una tirannia dei cinquantuno altrettanto dura, altrettanto odiosa, come lo ? la tirannia dell?uno o dei pochissimi sui cento.

Da secoli, da millenni la sapienza filosofica, ma anche quella popolare, ha imparato a distinguere tra la democrazia e la demagogia e, vale a dire, tra la democrazia che ? il governo della maggioranza ?vera? e la demagogia che ?, invece, il governo della maggioranza ?falsa?. Ambedue sono il governo che deriva dai cinquantuno sui cento; pur tuttavia vi ? nell?aria, nel metodo di governare, nelle leggi, nello stile di vita, nei costumi, nelle relazioni sociali, nella vita spirituale, qualcosa che ci porta ad affermare che quello non ? governo di popolo, non ? governo di una maggioranza che abbia i requisiti necessari ad esercitare il diritto di governare.

Se la maggioranza rappresenta la ?major pars?, non ? detto che automaticamente sia la ?sanior pars?, cio? la parte pi? sana e saggia della societ? e che i ?meliores? rimangono troppo spesso tra i meno ed i ?pejores?, altrettanto troppo spesso, dominano sui pi? e parlano come se fossero la voce di tutti. Accade ci? perch? tra i pi? sono numerosi gli ignari, i quali non hanno spiccata attitudine a giudicare le grandi questioni della ?cosa pubblica?; inoltre vi sono i poltroni, pronti ad usare il potere di coazione delle pubbliche funzioni per vivere a spese di coloro che si affaticano nel lavoro e producono; ancora vi sono gli egoisti individualisti, riluttanti a sacrificare il momento che fugge alle ragioni dell?avvenire; e poi, infine, i procaccianti, prodighi promettitori alle folle di magnificenze e strabilianti realizzazioni.

Chi non conosce la difficolt? del mantenere, largamente promette e procaccia a s? l?ingenuo suffragio delle maggioranze; inganna cos? il popolo perch? non gli rivela che n? le classi politiche e n? i ceti scelti non sempre si identificano con i ?meliores?, mentre invece il fine della societ? democratica ? quello di identificare gli eletti con la ?sanior pars? del ceto politico.

Oltre non vogliamo andare, ma l?esortazione, insieme all?ammonimento, alla gente comune, alle Istituzioni, ai partiti non pu? non essere intesa e fatta propria.

Dedichiamo una finale considerazione a Pier Luigi Leoni, acuto osservatore delle vicende umane del nostro tempo, che ci ha interrogato se, nella ricerca di una occupazione lavorativa, debba prevalere il desiderio di sicurezza o, non piuttosto, quello di avventura.

La crisi profonda dell?economia italiana indurrebbe a pensare di trovare protettivo rifugio in un impiego stabile e sicuro; per uscire, per?, dalla stagnazione ? necessario e urgente riscoprire il gusto del rischio intraprendente, soffiare da sotto il naso degli americani lo spirito ?Yankee?.

Pubblicato il: 27/01/2011

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