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In morte di un diacono

Fausto Cerulli

Lo conoscevo appena: avevo scambiato con lui qualche parola quando mi capitava di andare dal Vescovo. Mentre attendevo di essere ricevuto, era lui che mi faceva compagnia, magari mi chiedeva se avessi voluto prendere un caff?. Lo ricordo come una persona gentile, riservata, ma sempre sorridente di un sorriso franco. Ha fatto la fine di molti miei amici, di troppi miei amici e di lui vorrei parlare come se mi fosse stato amico. Dicono che abbia lasciato sul computer un messaggio in cui diceva che senza il sacerdozio per lui la vita non aveva senso. Io sto sempre dalla parte delle persone coerenti, disposte a mettere in gioco anche certe convenzioni, pur di essere coerenti fino alla fine. Certo, tutti quelli che, come la Binetti, hanno rimproverato a Monicelli di aver scelto il suicidio, legittimando cos? una certa eutanasia, diranno che il diacono ha violato i principi della religione cattolica, nella versione integralista. Quei principi per cui la vita appartiene a Dio, e dunque l?uomo non pu? disporne in maniera definitiva. Mi verrebbe voglia di rispondere che anche la morte di Cristo, che accett? di essere crocifisso pur sapendo che avrebbe potuto evitare quella morte dando ragione a Caifa, fu tutto sommato un suicidio. Ma non ? dal mio pulpito che pu? venire la predica. Dicono che non poteva diventare prete perch? non era preparato, secondo la Santa Sede: Il Vescovo di Orvieto, altra persona di rara coerenza, ha espresso pubblicamente il suo dissenso rispetto alla decisione vaticana.  Lui lo riteneva pronto alla missione che aveva scelto,

e gli aveva mostrato fiducia al punto da farlo segretario della Curia Vescovile. Ma il Vaticano aveva deciso che il giovane era dovuto restare diacono, quasi un precario della Chiesa. Non voglio entrare nel merito delle dicerie apparse su qualche giornale per giustificare la posizione vaticana. Per quel poco che conosco Padre Giovanni, come voglio chiamare stavolta il vescovo Scanavino ( al quale chiedo scusa, in questo momento triste, per averlo trattato con eccessiva confidenza: ma con gli amici sono solito farlo) non credo che avrebbe concesso fiducia a persona che fosse in qualche modo discutibile. Ha creduto, il nostro povero diacono, di avere la missione di fare il sacerdote; credo che la sua vocazione fosse sincera, sincera al punto da spingerlo al suicidio, quando ha visto ostacolata la sua vocazione. Vorrei dire che il suo suicidio ? stato quello di un innamorato respinto: respinto da una Gerarchia, non da una donna. E dunque lo sento vicino, ammiro il suo gesto disperato, la sua intransigenza. E nel suo nome rivendico il diritto di ognuno a decidere della propria vita e della propria morte. Il Vescovo mi scuser?, se intervengo nella vicenda della sua Chiesa; almeno voglio sperarlo, ma non mi perdoneranno i bigotti, gli amici della vita ad ogni costo, quelli che metterebbero in carcere Englaro o la vedova di Welby. Il nostro diacono si ? ucciso perch?, lo ha lasciato scritto, senza il sacerdozio la sua vita nona aveva senso. Si ? ucciso per una causa nobile, ha dimostrato di essere cristiano pi? di tanti cristiani che magari si sentono spiazzati da quella scelta tragica e decisa.  Lo so, adesso diranno che approfitto di una tragedia per affermare la mia convinzione a favore dell?eutanasia, ma io posso parlare, perch? molti miei amici si sono uccisi, ed io li sento vicini e molti cari, e perch? anche io sono stato talvolta tentato dal suicidio.  Capisco che il nostro diacono non era un malato terminale, qualcuno mi dir? che non soffriva. Ma ? stato lui a decidere, ? stato lui a stabilire se continuare a vivere, o se ere meglio morire. Rispetto la sua scelta esistenziale, la considero sacra, io che non sono molto pratico di cose sacre. E non mi si dica che il suicidio ? una fuga, un atto di debolezza. Per ammazzarsi occorre molta forza, molto coraggio. Meglio morire per propria decisione, che vivere una vita che non vale per l?uomo che conosce la propria vocazione, che ne fa una questione di vita. E che ne fa, se non riesce a realizzarsi, una questione di morte. Autogestita.  E, per finire, mi viene in mente l?ultima frase scritta da Pavese, prima di inghiottire una trentina di pillole letali. Un biglietto laconico: ?niente pettegolezzi, per favore .  Ho letto su un giornale locale un sunto dell?omelia del Vescovo. Spero anche io che il diacono sia morto di roccia e non di tufo. Della serie che eutanasia ? la bella morte, e meglio una morte secca. Non credo molto al Paradiso, ma, se esiste, credo che il diacono sar? stato promosso sacerdote, a compensarlo dei torti della Gerarchia terrestre. 

Pubblicato il: 03/12/2010

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