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CONOSCERE PER NON AVVIZZIRE. Fatti non foste a viver come bruti, ma per inseguir virtute e conoscenza

Chiara e Mario Tiberi

 Se l?appartenente al genere umano ? stato definito, da gran parte della filosofia antica fino a quella contemporanea, come ?essere ragionevole? e come ?possibilit? di auto-progettazione?, ci? non significa necessariamente che il suo pensare, il suo scegliere e il suo agire, anche se razionali, siano infallibili. Certo, il ?logos? pi? specifico dell?Homo Sapiens in quanto ?ragione e discorso? ? potenzialmente infinito e gli conferisce quel tratto di unicit? che differenzia il pensare e il dialogare dell?essere uomo da quello di ogni altro essere vivente.

Ed ? proprio codesta unicit? che caratterizza l?esistenza umana, qualificandola come irripetibile.

La strutturale finitudine dell?uomo, alla quale corrisponde una vita biologica transitoria e dunque scandita da un inizio e da una fine, non impedisce di riempire di significati ogni atto di pensiero e di azione, compiuto in quella rete di relazioni che quotidianamente intratteniamo con ci? e con chi ci circonda. E? in questo modo che noi diamo un senso alla nostra vita e la definiamo come nostra, nella sua contingenza e precariet?, ma anche nel suo valore, nella sua singolarit? ed eccezionalit?.

La limitatezza della condizione umana non pu? essere soltanto un ostacolo, un difetto, un?imperfezione. Come ? stato sottolineato nel precedente editoriale, ? certamente vero che l?esistenza umana ? connotata dall?imperfezione e dall?errore. Ma ci? non pu? essere considerato come risorsa, invece che come carenza? Il fatto che il nostro agire nel mondo pu? essere fallibile e sottoponibile a dubbio, pu? forse significare che ci? che pensiamo e operiamo ? sempre potenzialmente sbagliato o, non piuttosto, che l?errore ci permette di spingerci ancor di pi? oltre, di ricercare ulteriormente, di visualizzare le realt? da pi? prospettive con lo scopo di migliorarle?

Il dubbio allora non ? indice di errore, ma di fecondit?!.

Il nostro essere ragionevoli e progettanti significa avere la capacit? e la volont? di ragionare, di mettere in discussione e sottoporre a critica, di scegliere e intervenire attivamente, insieme agli altri, per modificare e cambiare, per modificarci e cambiarci. Soltanto ? grazie a questi intrecci, cos? vitali e propositivi, che la nostra esistenza e quella di tutti procede in avanti, solo cos? cresce e si arricchisce la nostra convivenza sociale, la nostra civilt?, che forse stiamo egoisticamente trascurando e piano piano perdendo, la storia plasmata di eventi che, a loro volta, non possono che non essere animati da persone.

Non v?? dubbio, e lo ribadiamo, che il nostro pensare e il nostro agire ? intrinsecamente limitato: ogni nostra scelta, o iniziativa, o progetto ? in parte determinato da ci? che esiste gi? e da ci? che gi? ? esistito. Ma proprio per questo il nostro impegno e il nostro dovere ? quello di proseguire, di cambiare laddove ? necessario, di migliorare la pessima contingenza dell?attualit?.

Il dubbio e la consapevolezza di essere imperfetti e, quindi, di sbagliare, non ci deve paralizzare, ma spronare invece verso un progresso conoscitivo e pratico che ? e sar? il benessere di tutti.

Il nobile animale razionale e progettante, che noi tutti siamo, non pu? sottrarsi a tale impegno: ? la nostra fatica, ma ? anche la nostra soddisfazione. Anche in questo risiede l?unicit? e la forza della nostra esistenza.

Si tratta, prendendo a prestito una splendida frase di Kundera, dell?insostenibile leggerezza dell?essere per cui, forse, il nostro fardello pi? oneroso ? la superficialit? con la quale siamo portati a considerare ci? che ci circonda; mentre, di converso, la nostra ricchezza scaturisce dalla percezione di essere in grado di realizzare qualcosa di nostro, unico e irripetibile, e che inevitabilmente lascer? una traccia in direzione non sempre e non solo di un ?Io?, ma di un ?Noi?.

L?uomo, da sempre, ha cercato di spiegare e di spiegarsi, di risalire fino alle cause ultime di ogni fenomeno; ci? ? avvenuto attraverso la forma pi? arcaica del mito sino ad arrivare alle sempre pi? matematiche teorie scientifiche. Spinto dallo stupore di fronte a ci? che ? sconosciuto, dalla curiosit? di penetrarvici dentro, ma anche dall?ancestrale paura dell?ignoto, ha sempre tentato di trovare il perch? di ogni accadimento al fine di approdare alla tranquillit? del noto. Quello che, oggi, viene quasi spontaneo domandarsi ? se ? ancora esatto affermare che il non sapere e il non conoscere ci getta nel panico o se, addirittura, avviene il contrario.

E? forse pi? semplice e pi? comodo non sapere per avere minori responsabilit? o per affrontare meno sacrifici? Si teme di pi?, conoscere o non conoscere? Rimanere nel proprio ristretto orticello offre pi? tranquillit? che l?interessarsi, il prendersi cura delle nostre esistenze e il porgere la mano e la mente per un contributo comunitario?

L?albero della conoscenza ? terribilmente alto, ma non arrampicarcisi sopra ha tutto il sapore della pochezza e della codardia.

 

Pubblicato il: 26/11/2010

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