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Don Marcello

Fausto Cerulli

Ricordare Don Marcello mi obbliga ad un difficile esercizio di retorica: quello di evitare la retorica. Perch? Don Marcello non avrebbe amato essere ricordato retoricamente. E allora dico del suo corpo massiccio e del suo spirito leggero, del suo ottimismo fanciullesco ispirato da una fede anche essa fanciulla, contro la quale spesso si spezzava il mio non avere fede, o averla a modo mio.

Lui conosceva le mie idee, le rispettava; ed io rispettavo ed apprezzavo quel suo strano modo di essere sacerdote. Un miscuglio di parroco di campagna e di monsignore colto. Un tempo viaggiavamo spesso insieme in treno, tornando da Roma; e lui mi raccontava la fatica e lo scrupolo con cui affrontava la sua difficile tesi di laurea. E non lo faceva per sfoggio di erudizione; gli piaceva comunicare il suo entusiasmo, coinvolgere. E ci riusciva, e passavamo le due ore che allora occorrevano per venire da Roma ad Orvieto a discutere di filosofia tedesca; anzi era lui a parlare, io lo ascoltavo quasi con sorpresa. Poi mi tornava in mente suo fratello Mario, il fratello medico, che ebbi anch?esso per amico, e molto caro. E quella cultura che era amore del sapere li accomunava, e li accomuna ora nella mia memoria. Se parlo di Don Marcello, il don non posso trascurarlo, come faccio quando parlo di altri prelati con cui ho avuto ed ho frequentazione. Perch? Marcello Pettinelli era Don Marcello, o non era. Ho sempre visto in lui il sacerdote buono, che esercitava la sua missione quasi con pudore. Le sue omelie, ricordo: nelle quali amava usare un frasario quasi popolare, nascondendo la sua cultura per non confondere il suo gregge. Mi dicono che la sua ultima omelia, pronunciata qualche giorno prima di morire, sia stata forse la sua pi? bella omelia. E non fatico a crederlo: Don Marcello aveva molta familiarit? con sora nostra morte corporale, e la teneva sempre presente, e non ne aveva paura: credo che fosse certo di essersi meritato un posto in Paradiso. Ora, io non so se esista davvero un Paradiso: ma, se esiste, lo immagino destinato a chi sa farsi umile tra gli umili e per gi umili, come sapeva farsi Don Marcello. La sua era una teologia apparentemente povera, ma ricca della sostanza dell?amore per il prossimo. E ricca soprattutto di rispetto. Qualche tempo fa, venne a visitare, come faceva spesso, una sua parrocchiana molto malata; ed a me molto cara.  Ad un tratto, lo ricordo come fosse ora, mi disse ?Fausto, ti dispiace se recito per questa donna il viatico? ed aggiunse? So che per te queste funzioni non significano molto, ma io vorrei fare il mio dovere di sacerdote?. Lo chiese con infinita dolcezza, senza la minima traccia di provocazione o di ironia. Forse con un altro sacerdote sarei stato brusco, magari avrei risposto malamente, o comunque sarei uscito dalla stanza. Gli sorrisi, gli dissi di svolgere il suo compito, se riteneva necessario farlo. E rimasi nella stanza a seguire i gesti quasi misteriosi della liturgia, affascinato dall?amore che lui metteva in quei gesti. La sua figura grande riempiva quasi la stanza, ma i suoi movimenti erano delicati, la sua voce, rivolta alla donna che forse non poteva ascoltarla, ed a noi che la ascoltavamo, era anche una voce che dialogava con un Dio nel quale lui credeva come si crede ad un padre buono. Fui sorpreso di essere commosso, e fui commosso di non essere abbastanza sorpreso. Da Don Marcello potevo accettare tutto, anche che facesse spuntare qualche inizio di pianto in uno scettico incallito quale io cerco di essere. Era commosso anche lui, si era creata una familiarit? strana, pervasa da qualche mistero comunque positivo. Uscimmo insieme da quella casa. E lui aveva dimenticato di togliersi quella sciarpa viola di cui non sono obbligato a ricordare il nome. Per scrollarmi di dosso la commozione, e per quasi rifarmi una verginit? laica, gli dissi ? Don Marcello, adesso puoi levare le pistole, la battaglia ? finita? Rise forte, con quel suo ridere contagioso; mi dette una pacca sulle spalle, che voleva essere brusca e fu carezza, e mi disse ?Fausto, non ti smentisci mai?. Poi aggiunse, ma senza nessuna malizia: ? Eppure poco fa quasi piangevi? Come se avessimo giocato a braccio di ferro, ed eravamo contenti di avere pareggiato.

Ho visto per l?ultima volta Don Marcello al concerto di Uliarte in Duomo. Sapevo che Don Marcello era stato molto male, era stato ricoverato in ospedale: ma mi sembr? quasi ovvio vederlo al concerto: ovvio perch? Don Marcello era amico di Uliarte, ed ovvio perch? Don Marcello era amante della musica, e di essa raffinato conoscitore.

Non so se sia vero, e non voglio creare leggende su Don Marcello, che non ne avrebbe volute, ma mi hanno detto che tra le sue ultime volont? Don Marcello abbia chiesto che per la sua dipartita le campane non suonassero ? a morto?, ma ?a festa? E per quello che posso sapere di lui, la sua fede davvero gli faceva sentire festosa la morte. Anche se amava molto la vita, Don Marcello aveva capito, come pochi, che non si pu? amare la vita senza amare anche la sorella morte.

Pubblicato il: 11/11/2010

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