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Adesso cosa cambia in Iraq?

Alessandro M.Li Donni

di Alessandro M. Li Donni

Mercoled? ? stato il giorno del raccoglimento, dell?unit? nazionale e del cordoglio per le vittime ed in particolare per i Carabinieri.  Da oggi inizia la riflessione.  Qualcuno, in realt?, ci ha provato anche il giorno del lutto, con grande impegno e, purtroppo, con poco rispetto. 
E? certo che ora bisogna ripensare tutta la presenza in Iraq, di tutti non solo degli italiani.  Lo hanno capito gli Stati Uniti, a loro spese, gli altri governi occidentali presenti con le proprie forze armate e lo hanno capito anche i paesi arabi moderati.  Non stiamo qui per discutere della giustezza o meno della guerra.  Di certo ogni conflitto porta con s? dubbi, angosce, progetti politici pi? o meno sotterranei.  E? vero anche che, proprio in questo momento, come ha giustamente sottolineato D?Alema, non si pu? uscire dall?Iraq.  Bisogna ripensare l?intera strategia e gli Stati Uniti devono assolutamente compiere un passo indietro.  E? dimostrato che la grande potenza sa fare bene la guerra ma poi si perde nel dopoguerra.  E? stato cos? in Somalia e nella prima guerra del Golfo, ed ? drammaticamente vero oggi in Iraq.  La grande scuola diplomatica europea pu? dire la sua, pu? diventare protagonista, ma prima bisogna assolutamente  ricucire i rapporti in seno alla Ue.  Non ? possibile avere l?asse franco-tedesco contro ogni tipo d?intervento e pensare di recitare un ruolo nel conflitto in Iraq.  Non ? pensabile che gli Stati Uniti cerchino in tutti i modi di mantenere il comando assoluto della situazione senza concedere nulla agli altri. 
Lo scacchiere arabo, poi, ? sempre stato complicato, difficile per tutti, con le sue divisioni, le sue invidie, la religione e la questione palestinese che fa sempre da sfondo ad ogni tragedia di quell?angolo di terra ricchissimo.  Gli italiani a Nassirya hanno cercato di cambiare veramente le regole del gioco.  Hanno provato a portare la democrazia e la politica al centro dell?interesse della popolazione.  Probabilmente ? questa la chiave di volta.  Gli Stati Uniti pensano di esportare sic et simpliciter il ?loro? modello di democrazia, senza mediazioni  culturali, religiose, etniche e politiche e questo ? un gravissimo errore.  In realt? oggi l?Iraq ? cambiato, ? formalmente libero ma ostaggio dei violenti, dei profittatori e dei vicini che mai hanno gradito una potenza cos? forte ai loro confini.  L?opera di ricostruzione politica dell?Iraq deve partire dalla ricostituzione della classe amministrativa e politica che, proprio gli americani, hanno erroneamente cancellato con un decreto da forza occupante onnipotente.  Sempre gli americani hanno chiamato a governare l?Iraq un consiglio di persone scelto dall?alto e guidato da un occidentale.  E ancora hanno sciolto l?esercito provocando cos? l?ingovernabilit? e la libera circolazione di persone e armi.  A questo status quo nessuno ha risposto, nessun governo occidentale amico. 
L?ONU ha chiesto che entro il 15 dicembre si abbia un quadro politico certo e chiaro per dare il via alla nuova democratizzazione dell?Iraq.  Ma come ? possibile?  Come si pu? pensare di trovare un ?Karzai? in un mese?  Come si pu? pensare di creare in un mese una Costituzione, dei partiti democratici ed una classe politica adeguata?  L?Europa dovrebbe alzare la voce, dovrebbe tornare protagonista.   E? un?occasione irripetibile per Bruxelles.  L?Unione Europea deve mettere in campo la sua esperienza democratica per portare la libert? in Iraq.  Serve pi? tempo, servono pi? soldati, serve un coordinamento serio degli aiuti internazionali per la ricostruzione.  Tutto questo per? devono capirlo innanzitutto Geroge W Bush e Condoleeza Rice.  E? un compito difficilissimo.  Bisogna convincere il vincitore militare, che ha gi? speso tanto in termini economici e umani, che bisogna cambiare tutto e che deve cedere la sovranit? assoluta e condividerla con altri anche a rischio di vedere nascere un modello democratico non affine a quello americano.  Bisogna anche fare in fretta perch? l?Iraq post-Saddam si sta trasformando, lentamente, in tre patrie, quella curda a nord, quella scita a sud e quella sunnita nel cosiddetto triangolo della morte, con Tikrit capitale ?morale?.  Questo significherebbe la fine del processo di pace, con i nervosi vicini, Iran e Turchia in prima fila, pronti a saltare sul treno della ?secessione? scita e curda, con l?Arabia Saudita costretta a schierarsi e la Siria pronta ad appoggiare eventuali sacche di rivolta filo-Baath.  Questo risiko cos? pericoloso non pu? permetterselo l?occidente tutto ed in primo luogo l?Unione Europea che da sempre ha rapporti privilegiati con il mondo arabo per vicinanza geografica, per radici culturali e per la storia passata e recente.

 

Pubblicato il: 13/11/2003

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