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Cronaca romanzata di una passata e fuga della giustizia ad Orvieto

Fausto Cerulli

Per chi non lo sapesse, d’ora in avanti nelle aule dei Tribunali accanto alla scritta fritta e rifritta e che tanto nessuno ci crede che la legge ? uguale per tutti, apparir? un’altra scritta pi? seria se fosse presa sul serio: “ La giustizia ? amministrata in nome del popolo”. Mi veniva in mente questa innovazione mentre assistevo all’’inaugurazione della Camera Penale di Orvieto, opera meritoria, tra le tante, dell’amico non sempre e collega per sempre Manlio Morcella. Il salone dei Cinquecento era pieno, sul palco il gotha della scienza e coscienza penale. In platea, tuttavia, mancava proprio quel popolo che doveva essere quello che nel suo nome come dicevo prima. Ho contato cento carabinieri in divisa, e stando alle regole della statistica, almeno altri cento dovevano essere in borghese. Poi gli avvocati di Orvieto, anzi le avvocatesse: un nugolo di bellezze fresche allegre l’aspetto ridente del foro. Poi loro, anzi noi, gli avvocati; attenti annoiati compunti eleganti, come si addice a chi giura sul giure. Il popolo niente, ma se ti affacciavi al terrazzo il popolo faceva la spesa al mercato del sabato: e vagli a spiegare che noi stavamo parlando della giustizia che amministriamo per conto loro. Sul palco il professor Giansi, un mostro della procedura penale, uno di quelli che con un cavillo azzeccato convince qualsiasi giuria che ? stata Desdemona a uccidere Otello, in un raptus di follia franzoniana. Scherzi a parte un maestro, e un maestro cordiale, nonostante quel sigaro eterno che puzza anche quando non fuma. Un maestro, dicevo, anche perch? ? stato fino a qualche anno fa il Gran Maestro della Massoneria. E fu lui, in quella veste, a spiegarmi che la Massoneria di Perugia e la Massoneria di Viterbo massonano per conto loro, e massonano anche di brutto. Giansi, con la sua voce pacata, ha sparato una mitragliata di articoli, una fucileria di sentenze, un bombardamento di leggi sbagliate, fatte per far passare il tempo ai nostri parlamentati. Il popolo, gi? al mercato, non avrebbe capito nulla: ma ? giusto che non capisca, ? come il padrone che lascia al fattore il compito di amministrare, e il fattore gli ruba la vigna e poi se la svigna. Morcella era in forma perfetta, un presentatore discreto, senza vallette e senza la musica di sottofondo. Una via di mezzo tra Corrado Augias e Corradino di Svevia.. Poi ha preso la parola, anzi ha letto il compito scritto, un altro mostro del nostro diritto penale; quel Guido Calvi che, da praticante, si trov? a difendere nientepopodimeno che Pietro Valpreda per Piazza Fontana; la sua fu una carriera, come dire, rimbombante, in omaggio alle bombe di Piazza Fontana che nessuno le ha messe. Erano bombe portate dallo Spirito Santo. Calvi divenne poi professore, per meriti valprediani e non solo; da anni fa l’avvocato onorevole, che corre tra la Camera Camera e la camera di consiglio, con qualche puntata alla camrera penale; e ogni tanto mi chiedo se, tra tante camere da visitare, gli scappa il tempo per riposare in camera semplice, in camera da letto. Calvi doveva discutere della separazione delle carriere; un problema che angoscia il popolo tutto, che attende smanioso il verdetto: il pubblico ministero sar? un giudice come un altro, o sar? un giudice differente, a parit?, Dio ne guardi, di stipendio e prebende. Calvi, essendo parlamentare, ha detto s? ha detto no ha detto forse: ha concluso con un chiss? che ha strappato gli applausi della platea e svegliato i molti dormienti. Poi il clou della mattinata: considerato che siamo in periodo di carnevale, sul palco avevano messo il Carnevale per antonomasia, un giudice tutto di un pezzo, che sin dalle elementari, studiava per fare il giudice di Cassazione. E per non sprecare lo studio. Ha fatto per mezzo secolo il Primo Presidente della Prima Sezione della Corte di Cassazione. Quando si dice un Primato. Privato. Poi ha avuto qualche noia con la giustizia, per colpa di quei pentiti che nel settantotto venivano considerati vangelo ed hanno riempito le patrie galere di una generazione di brigatisti. Mentre ora, gli stessi pentiti, se parlano di un pezzo grosso, sono trattati come lo strofinaccio del cesso, la vergogna di ogni processo. Carnevale, che festeggiava l’assoluzione da parte di quella Corte di Cassazione di cui era l’anima e il corpo, ha giustamente ingiuriato i giudici persecutori, i giudici che fanno i crociati. Parlava, il buon Carnevale, pro domo sua e pro domo, en passant, dell’amico Andreotti. Tutto si ? svolto secondo il cerimoniale, sotto la regia di Morcella. La gente, gi? in piazza, continuava a comprare zucchine e formaggio. Era tranquilla la gente; sapeva che la giustizia, che ? cosa sua, veniva amministrata da buone mani, da sapienti sentenze, da studiosi che, mannaggia di una mannaggia, gli fosse scappata una volta la parola Popolo. Ed eravamo, tra l’altro, in Piazza del Popolo.

Pubblicato il: 21/01/2003

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