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PECUNIA NON OLET

Mario Tiberi

Il denaro, in una societ? a prevalente profilo consumistico, sembra essere il motore di ogni agire umano e, spesso stoltamente, viene scambiato da strumento di intermediazione per il soddisfacimento dei bisogni materiali a fine ultimo dell?esistenza terrena. Si dice, a questo proposito, che i soldi non hanno paternit? o padrone e che mammona, il dio quattrino, ? un idolo ingannevole e tentatore di cui ? bene usufruirne con circospezione e notevole moderazione.

Oggi, poi, con la finanza creativa, gli investimenti remunerativi, le speculazioni monetarie, i guadagni facili e immediati promessi da promotori spregiudicati e senza scrupoli, il concetto di denaro si ? talmente amplificato da vederne snaturato il suo valore originario ed essenziale.

Quanto esposto vale certamente nella sfera privata: trova per? in quella pubblica il terreno di maggiore e pi? pericolosa esplicazione. Una non oculata e responsabile gestione delle risorse finanziarie destinate a beni e servizi di pubblica utilit? o interesse conduce, in un breve arco temporale e inevitabilmente, a fallimenti clamorosi e per lo pi? ignorati ed ignoti fino al momento dell?ormai ?? troppo tardi?. Inutile dire che noi orvietani ci stiamo facendo il callo di fronte a questi accidenti e ben sappiamo chi dobbiamo ringraziare!.

Da universitario, erano gli anni settanta, terminata la lezione pomeridiana di filosofia giuridica mi incamminai, in compagnia del Prof. Sergio Cotta, verso piazzale della Minerva, dea della sapienza, e durante il percorso iniziammo a dissertare sulle lusinghe e sulle seduzioni del potere derivante dal denaro e, di converso, sulla dimensione della felicit? umana. Per quel che ricordo, mi prover? a riassumere sinteticamente i passaggi significativi di tale conversazione.

L?uomo, per sua intima natura, ? portato a vivere felicemente; senonch? ? talmente abile a complicarsi la vita da renderla, spesso e volentieri, insopportabile e insoddisfacente in quanto alla radice di ogni suo male vi sono l?avidit? e la cupidigia dell?uomo stesso. Affinando ulteriormente il pensiero di partenza, ci si rese ben presto conto che l?avidit? e la cupidigia altro non sono che le figlie naturali di un?unica grande madre: l?incontentabilit? umana.

Proseguimmo nel ragionamento: una volta affrancati dalla schiavit? del bisogno e raggiunti sufficienti livelli di benessere materiale all?interno dei quali ? possibile soddisfare le necessit? primarie e in parte anche quelle voluttuarie, perch? ostinarsi e dannarsi l?anima per continuare sulla strada dell?avido accumulo quando, poi, tutto dovremo restituire?. Soddisfare le esigenze fondamentali e irrinunciabili ? logico e razionale; l?altro ? frutto di un meccanismo perverso e irrazionale e, quindi, ? sciocco e insensato.

Nella sostanza, il desiderio smodato dell?uomo di possedere sempre di pi? ? paragonabile ad un cinodromo dove i cani si cimentano nella rincorsa di una lepre meccanica che, una volta che ? stata raggiunta, ottiene una improvvisa e decisa accelerazione per cui i cani sono costretti ad aumentare anch?essi la loro velocit? di corsa per raggiungerla di nuovo e cos? all?infinito. E aumenta la velocit? oggi, aumenta la velocit? domani, l?affanno della corsa verso il maggior possesso diventa sempre pi? sostenuto e l?affanno ? la negazione della serenit? esistenziale e la mancanza di serenit? ? la causa primaria dell?infelicit? dell?uomo. La conclusione finale pu? condensarsi nella seguente apodittica affermazione: incontentabilit? uguale infelicit?.

Un?ultima metafora per meglio precisare: il pilota di una vettura e il suo motore sono assimilabili alla mente e al cuore dell?essere umano e per raggiungere determinati obiettivi ottimali devono per forza integrarsi l?una all?altro in giuste proporzioni. La mente potrebbe per?, in certe e ripetute circostanze, chiedere troppo al proprio motore fino a portarlo alla rottura e a fermarsi; essere cio? incontentabile. D?altro canto un motore che si arresta a causa dell?incontentabilit? del pilota rende quest?ultimo infelice perch? non gli consente di perseguire il traguardo che si era prefissato.

Il pilota se la prender? allora con il suo motore, lo mander? a quel paese, ci litigher? perch? non sar? tanto onesto da ammettere che la causa del suo male, dell?infelicit? derivante dal mancato raggiungimento dell?obiettivo, la deve proprio ed unicamente ricercare in se stesso.

Coloro i quali, per leggerezza o per supponenza, pretendono di fare il passo pi? lungo della gamba cadono rovinosamente; e quando questi coloro hanno su di s? pubbliche responsabilit? determinano la caduta rovinosa anche dei loro amministrati.

Per chi si guadagna da vivere onestamente e con il sudore della fronte, il denaro certamente non puzza; per chi opera al contrario non solo il denaro ?male olet?, ma anche si ritrover? immerso fino al naso nella letamaia dell? ?unicuique stercus suum bene olet? e, comunque, sempre di sterco si tratter?.

Pubblicato il: 08/10/2009

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