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NOTIZIE CORSIVI

Lettera malinconica ad un amico elegante, Giulio Ladi

Fausto Cerulli

Lettera malinconica ad un amico elegante.

Caro Giulio, qui a Porano le notizie arrivano sempre tardi, ed ho saputo della tua morte soltanto adesso aprendo il pc, per vedere se sui giornali on line era stato impostato qualche mio intervento. Vorrei dirti di una strana coincidenza: proprio stasera, al cinema Corso, ho visto un film dedicato alla morte di un giornalista, Carlo Siani, ammazzato dalla camorra. Nel film mi aveva colpito una scena: il caporedattore della cronaca locale di un quotidiano nazionale, parlando con Siani, giornalista precario, gli spiegava la differenza tra giornalisti impiegati e giornalisti giornalisti. Voleva dire che esistono giornalisti che scrivono per un qualche stipendio, e giornalisti che diventano grandi firme. Sul momento mi sembrava un discorso giusto. Poi, quando ho letto che sei morto, mi sono messo a riflettere, qualche volta lo faccio: ed ho capito che quella distinzione era falsa e capziosa. Esistono giornalisti bravi e giornalisti scribacchini, questo s?. E non ? questione di quello che si scrive, ma di come lo si scrive. Tu hai sempre scritto in maniera elegante, perch? tutto in te era elegante. Il tuo modo di camminare, di sorridere, di parlare sempre sottovoce. Ed anche il tuo modo di vestire. Non ? facile essere eleganti, credo che l?eleganza sia una dote innata; e chi la possiede la usa in tutto quello che fa;  chi ? elegante non ha bisogno di apparire: l?eleganza appariscente ? il contrario esatto dell?eleganza.  Ho letto quello che ha scritto in tuo ricordo Roberto Basili; e mi trovo d?accordo con lui quando scrive di te come di un giornalista che non cercava lo scoop, la notizia sensazionale, il dire troppo. E concordo con Basili quando scrive che tu amavi scavare nella notizia, cercare quella giusta, approfondirla, senza concedere nulla a qualche capufficio. Io non sono un giornalista, nel senso che non sono iscritto all?Albo, ma per qualche tempo ho collaborato ad un giornale: un giornale di destra che mi lasciava scrivere cose di sinistra. Ho gustato il piacere di sapere che venivo letto, ma soprattutto mi piaceva scrivere. E scrivere per una platea che non conoscevo. Io non sono mai stato elegante, lo confesso e lo riconosco: mi piaceva l?azzardo, la provocazione, ero aggressivo, uscivo dalle righe. Non scrivevo, ora lo so, da giornalista: perch? un giornalista deve essere serio e composto, deve informare senza la presunzione di insegnare; deve dosare le parole, calibrarle, trattarle con eleganza. E tu sei stato un giornalista di questo tipo: non ricordo che tu abbia usato mai un tono aggressivo, o che tu ti sia compiaciuto nell?adornare una notizia. Scrivevi soltanto quando eri sicuro che quello che scrivevi corrispondeva alla realt?: non hai mai piegato la notizia ad una idea preconcetta, non hai usato la tua professione per compiacere o compiacerti. Ecco, la tua eleganza di giornalista stava nel non lasciarti coinvolgere dalla notizia che davi: la tua eleganza era nel tuo essere obiettivo, distaccato senza essere qualunquista. Avevi capito che chi vuole essere un giornalista vero, deve considerare la professione un servizio pubblico, starei per dire una missione; ma sarebbe una parola pesante: il mondo della carta stampata ? pieno di missionari, di gente che si sente investita da qualche Dio del compito di dire il Verbo. Ma questa gente non ha nulla a che vedere, io credo, con il giornalismo. Almeno per un giornalismo come tu lo intendevi, a giudicare dal tuo modo di essere giornalista. Ma sento di essere assurdamente riduttivo, nel ricordarti soltanto come giornalista. Sei stato una persona importante, per molti che ora ti piangono; e lo sei stato per il tuo non sentirti importante, per la leggerezza del tuo essere sereno e rasserenante. Non ci siamo conosciuti molto, ora dico che non ci siamo conosciuti quanto avrei voluto e dovuto. Ma mi bastava un tuo saluto discreto, una tua battuta di sottile ironia, un tuo sorriso dolce della dolcezza che sapevi mettere nel tuo stare nel mondo, e mi davi fiducia nella gente che abita questo mondo che hai lasciato. So che hai molto sofferto, e che un angelo di donna ha sofferto con te, tutti i minuti del tuo spegnerti lento e consapevole. Ciao, Giulio, scusami se scrivo di te con una retorica che tu non avresti usato. Ma ? la morte, ad essere retorica, quando si porta via una persona elegante nel senso pi? elegante della parola elegante. ?  la morte, ad essere retorica, quando non ? notizia di cronaca, ma ferita che segna chi rimane. Vorrei sapere scrivere della tua morte con leggerezza, come tu avresti fatto della mia. Ma so che perdonerai il mio andare sopra le righe: e che mi sorriderai, se avrai tempo e modo di leggermi, necrologo  banale, da quel lass? nel quale tu credevi. E nel quale voglio credere anch?io, quando muore una persona cara. Forse anche in qualche Paradiso potrai usare il pc, per scrivere di noi che ti piangiamo. Anzi, mi piace pensarti mentre scrivi con una penna d?oca. Questione di leggerezza, questione di stile. Arrivederci, Giulio.

Pubblicato il: 28/05/2009

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