Archivio Orvietosi Archivio anni 2002-2012: CORSIVI
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C'era una volta il Jazz

Fausto Cerulli

Orvieto si prepara ai suoi giorni di gloria. Una volta l?anno esce dall?anonimato che non merita, e si mette in mostra per una sessione di jazz sempre pi? scadente. Verranno i soliti snob che non gli frega nulla del jazz, per sentire musicisti che ormai suonano soltanto ad Orvieto. Non che siano scarti, o rimasugli, sono soltanto cloni del grande jazz di un tempo. Non credo di essere un esperto, ma chi passa per esperto mi dice che OrvietoIazz va peggiorando ogni anno di pi?. Accidenti a questi orvietani, che si lagnavano quando Orvieto, per la festa del jazz, si riempiva di saccopelisti, disposti a passare le poche ore della notte, non segnate dalla musica, all?addiaccio. Scaldandosi con vino e hashish, di quello buono, che allora non lo tagliavano, lo portavano puro i primi viaggiatori avventurosi in India. Orvieto, quella delle persone per bene, protestava contro l?invasione dei nuovi barbari, gridava allo scandalo, chiedeva operazioni di polizia e di pulizia.

Ovvio: era gente che non affollava gli alberghi e gli agrituristi, che si arrangiava a dormire come clochard, che comprava un panino e una bottiglia di vino e poi sentiva la musica; e la sentiva con l?anima. Occorreva un cambiamento di rotta: la lobby degli albergatori e dei ristoratori non poteva tollerare che una occasione cos? ghiotta passasse senza lucro. E allora cominci? la stagione degli sponsor, quelli veri e quelli finti; e si fecero venire nomi grossi, palloni gonfiati, e si cominci? a propagandare il mito di Orvieto Jazz invernale. La propaganda funzion?: il gregge delle persone fintocolte che si muove al richiamo della stampa, cominci? ad affollare Orvieto; ma essendo gente di cultura e di nome, non poteva contentarsi di un sacco a pelo e di un panino. Alberghi affollati, gente che andava a soggiornare a Bolsena per notteggiare ad Orvieto; ristoranti strapieni, con il cibo di sempre e i prezzi di quando mai. Orvieto era sulla cresta dell?onda; dieci sciagurati col trombone schiamazzavano a mezzogiorno per le vie del centro, seguiti da una folla altrettanto sciagurata che fingeva entusiasmo e convinzione. Nei locali dove si esibivano i palloni gonfiati, a prezzi stragonfiati, era sempre il pienone. Orvieto boom. Ogni angolo di Orvieto diventava una fucina di musica, ogni cucina diventava un tempio dell?arte. Per fortuna gli orvietani veri, quelli della Cava, quelli di Pistrella, quelli di Sferracavallo non si lasciavano contagiare: semplicemente se ne fregavano. Ed erano adesso loro i veri snob, che si permettevano il lusso di snobbare una manifestazione che riempiva le pagine dei giornali locali e quelle dei commercianti locali. I prezzi dei biglietti erano proibitivi, una serata al Teatro Mancinelli costava quattro o cinque salari. Meglio sentire il mandolino di Pioggia, e bere vino di quello rosso di cantina. Qualcosa si salvava: al Palazzo dei Sette qualche spettacolo era gratuito, al Carmine si pagava poco e si ascoltava qualcosa di decente. Alessandra Carnevali riusciva a leggere qualche poesia, quando suonava qualche gruppo musicale orvietano, che suonava con il sax di Francesco o di Luca Marziantonio, o con il coraggio di Cocchieri. Musica fatta in casa, ma musica d?anima. I suonatori a quattro milioni a testa suonavano quello che suonavano sempre, era una squallida routine, gradita comunque  alle persone di cultura cosiddetta; che dovevano giustificare a se stessi le spese folli, e dunque dovevano tener coperto il bluff. Ora leggo che di nuovo gli alberghi sono pieni, i ristoranti rifanno le lasagne, riscaldano le solite minestre. Qualche sponsor ha fatto marcia indietro, segno che

ormai la stagione del miracolo Jazz sta tramontando. Il Sindaco, da buon amministratore della cosa pubblica, ha pensato di allungare di un giorno, e di qualche centinaia di milioni delle vecchie lire,

l?agonizzante manifestazione. OrvietoJazz si sta ripiegando su se stessa, ? in fase di implosione tanto per usare un termine che non significa nulla e perci? significa tutto. Mi viene in mente,

si parva licet, quello che ? accaduto alla Festa del Corpus Domini: ricordo, ero ragazzo, che alla processione partecipavano sacerdoti copti, ortodossi, eterodossi; tutti con i loro abiti esotici,

ma significativi di uno spirito comunque religioso. Era una festa veramente ecumenica. Ora ? diventata la festa del Corteo Storico, impoverito oltre tutto dalla morte della Pacini e dal gran rifiuto di Riccetti. Certo, ci sono ancora i palloncini, lo zucchero filato, le mosciarelle. Ma un?epoca ? finita: in processione soltanto cinque preti di campagna, e un paio di Vescovi annoiati.

La stessa mutazione genetica sta avvenendo per OrvietoJazz, che si trascina nella generale indifferenza; con artisti mediocri ma non si deve dire, con i soliti affari per gli alberghi e per i ristoranti, ma non si deve dire. Con un assoluto distacco tra gli orvietani e la manifestazione che vorrebbe essere la gloria di Orvieto. Lo so, molti penseranno che sono il solito disfattista, che guardo Orvieto dalla lontananza abissale di Porano. Ma ho molti amici giovani, che ancora pensano che OrvietoJazz sia quella di una volta, e tornano alla Rupe. Solo che i pi? schietti di loro, vorrei dire i pi? veri, finiscono per passare le serate in qualche casa privata, ascoltando un cd di Gillespie o di Chet Baker. E vanno per trattorie di campagna, porchetta e vino rosso.

Comunque tutto va bene: anche quest?anno Pagnotta mangia la sua lauta pagnotta. Io credo seriamente che dobbiamo smettere di parlare di recessione per pensare alla secessione.

Pubblicato il: 31/12/2008

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