Archivio Orvietosi Archivio anni 2002-2012: CORSIVI
NOTIZIE CORSIVI

Sono sei mesi che Francesco non ? con noi

Fausto Cerulli. A cura della redazione

Sono sei mesi che Francesco Satolli non ? pi? con noi. Vogliamo ricordarlo e non abbiamo parole. Utilizziamo quelle che gli ha dedicato Fausto Cerulli. C'? pi? di quanto noi sappiamo sentire. (La redazione)

di Fausto Cerulli

Forse vuoi essere fatto

santo subito, mio quasi

figlio miscredente

con temperanza

cortese. Hai risanato

il ginocchio malato

della donna che pi?

ti ha amato dopo

tua madre; hai fatto

apparire, su un banale

display di un oggetto

banale come un qualsiasi

cellulare, frasi di donne

Innamorate di te,

che ti dicevano grande

uomo; e tu mi stringevi

il ginocchio e mi dicevi

all?orecchio ?Fausto,

ma queste delirano?.

Poi, tu giullare di un Dio

In cui non crediamo,

tu, novello Francesco

d?assisi, hai rubato

l?immagine di un

cerbiatto; ed hai schernito

le luci dei fari, attraversando

la strada con passo

calmoelegantesapiente;:

ci hai regalato il tuo

spirito che usciva indenne

da una macchina

fracassata; ci hai detto,

ma questo lo sapevamo,

che non sei morto.

Forse sei rintanato

In qualche bosco

sopra Bolsena,

matto cerbiatto

della nostra speranza.

Adesso stai esagerando;

vuoi essere santo subito,

santo Francesco del sax.

 

di Fausto Cerulli

Caro Francesco, quando mi hanno detto che sei morto, mi ? venuto da sorridere. Ho capito subito che non era vero, che non ? vero; e che tu stai facendo un gioco,di quelli Ironici e sfrontati e limpidi che spesso hanno divertito sia te che me. Da quando, allora eri un bambino, ti raccontavo la favola di Francescorte e Faustorte, che eravamo io e te forti come gli eroi dei miti fanciulli; ti tenevo per mano, e tu mi guardavi attento e serio, e scrollavi poi il capo a dirmi che avevi capito il gioco; ma volevi che ogni sera si ripetesse, e guai se cambiavo una virgola. La favola doveva essere sempre la stessa: con la monotonia delle favole vere; che sono le favole di cui si sa che sono favole, e per questo

ci sono care.

Sono sceso da Porano ad Orvieto, e sono andato a casa tua; c?era tuo padre, c?era tua sorella, e molti amici. Anche loro stavano al gioco; anche loro dicevano che sei morto. Ma non ho visto il tuo corpo di morto, e dunque non sei morto; quando uno muore, il suo corpo viene disteso su un letto, e intorno gli si mettono fiori. Ma la tua casa non aveva la lugubre presenza di un morto. E allora ho seguitato a sorridere: e qualcuno di quelli che non avevano capito il gioco, mi avranno preso per folle.

Poi mi hanno detto che il tuo corpo di morto giaceva in un ospedale chiamato la Nottola; e allora stavo per scoppiare in una risata: te lo immagini, Francesco, un ospedale che si chiama Nottola, un ospedale pipistrello? Sarebbe come chiamare mondezza un giardino

d?asilo. Cristo, ma come sembravano convinti, quelli che ti dicevano morto. Le regole del tuo gioco prevedevano che tutti, sulla scena, recitassero la loro parte di persone convinte di averti perduto per sempre. Anche i giornali scrivono che sei morto, ma i giornali ( noi lo sappiamo, vero, Francesco?) scrivono quello che qualcuno gli ordina di scrivere: e tu sei stato il Murdoch della cronaca cittadina, hai giocosamente manipolato la stampa locale. Hanno cercato di convincermi che tu eri morto come le mille persone che muoiono il sabato notte; ma io so che tu non frequenti discoteche, tu suoni il sassofono in giro per mezza Italia, tu la notte giri per lavoro di artista e non per sballarti.

Si sono inventati, perch? tu hai voluto che lo inventassero, che sei morto in un incidente stradale; ma a me non me la danno a bere. Ne hai avuti tanti, di incidenti, e non ti sei mai fatto nulla di grave. Perch? dovrei credere che stavolta ti sei fatto tanto male da addirittura morirne?

Ieri ho sentito il suono del tuo sassofono, tra le pareti della mia casa: e so che non era il cd che ci avevi regalato, a produrre quel suono. Eri tu. E sei tu che suoni anche adesso, mentre scrivo queste note per far capire che si tratta di un gioco. Tu, io lo so bene, sei spericolato ed audace ai limiti dell?incoscienza; come quella volta che mi sfuggisti di mano e sbattesti la testa contro una colonna del portico di Sant?Andrea; ed io ti piangevo gi?  morto, e sbiancavo; ma tu ti rialzasti con un sorriso, anche se avevi il volto tuo di fanciullo coperto di sangue. E quando venne tua madre, lei sorrise del mio spavento, ed ordin? per me un cognac da Montanucci; mentre il tuo viso, lavato dal sangue, era di nuovo il tuo viso con quella strana espressione tra il serio e l?allegro che ? il segno dell?ironia. Anche allora volesti giocare un gioco, magari crudele, ma riscattato dal tuo sorriso di dopo.

Tu sei una persona stupenda, leggera come una piuma e profonda come un fiume di acqua pulita; hai soltanto questa tua voglia di scherzare, magari anche in maniera dura. Ed ora il tuo gioco comincia ad essere lungo, troppo lungo; voglio ricordarti, Francesco quasi mio figlio, che ? bello il gioco che dura poco.

E sto qui ad aspettare che tu ritorni a casa; io e Maria abbiamo preparato per te un assolo di sassofono al Boccone del Prete; so che sarai preciso e puntuale come sempre, tu che sei sempre professionale anche nello scherzo.

Oggi, o al massimo domani, ti stancherai di questo gioco; e ritornerai a suonare il tuo sassofono con la tua timidezza anche spavalda.

Facciamo cos?, Francesco: tu torni entro questa settimana a suonare il sax  in qualche locale, magari in qualche piazza. E tutti capiranno quello che io e te sappiamo; che non sei morto. Non sei morto, vero, Francesco?

 

di Fausto Cerulli

Bisogna che ti dica, Francesco,

che a Porano ? ritornato

il vento: lo sento sibilante

sulle piante del giardino

comunale, secco come

uno schiaffo sulle porte

sempre chiuse dei vicoli

abbandonati dalla gente,

si sente come fosse un

lamento tra i balconi

e la piazza, impazza

come il suono di un

sassofono crudele

sulle vele dei panni stesi

ad asciugare come

in un villaggio sul mare.

Sai, Francesco, ricordo

che quando eri fanciullo

- s?, sei stato fanciullo e

mi eri caro come un figlio-

mi chiedevi di spiegarti

l?origine del vento; ed io

inventavo che il vento

era il lamento di una donna

abbandonata dal  marito

marinaio, ed era la voce

del marinaio che veniva

a consolarla, passando

sulle onde. Mi credevi,

Francesco, tu mi credevi

sempre, tu credevi sempre

a tutto: volevi farmi capire

che ero magico. Eppure

ti ho lasciato morire

senza muovere la mia

mano fatata.


di Fausto Cerulli

Per Francesco.

 

Scusami ma ho dimenticato

Il tuo volto, forse lo ho

Consumato nella mia memoria

Per averti molto pensato, forse

Troppo: ricordo la tua voce

Di quando mi chiedevi

Le favole, ricordo i tuoi

Silenzi di quando

Non volevi parlare di un qualche

Tuo presentimento; ed il tuo

Passo felpato, sempre elegante

Come se fossi sempre preparato

Ad un appuntamento molto

Importante, inevitabile.

Ho anche dimenticato che

Sei morto: sai, ho una mia

Esigenza di comunque

Sopravvivenza. Vorrei

Dimenticare che adesso

Ti sto dimenticando mentre

Dimentico me stesso.

 


di Fausto Cerulli

Ora ti lascio alla tua morte,

non voglio portare fiori alla tua

tomba, non voglio sapere

neppure se hai una tomba,

e dove, e da chi pianta.

Preferisco ascoltare la tua

musica, incisa nella mia

memoria fortunatamente

labile, e su quella di  un

compact disc. Io so, amico

figlio Francesco, che tu

mi capirai, noi non credevamo

alla morte, giocavamo

con i paradisi e con gli

inferni. Sapevamo

che comunque noi

saremmo restati vivi

in questo affetto strano,

fraterno e anche crudele.

Per questo getto un sasso

nelle limpide acque della

tua morte, e della vita

che la sorte mi lascia

e che a te ha tolta. Riesco

appena a dire ciao

Francesco, e riesco

a vivere comunque.

 

di Fausto Cerulli

Adesso ? giusto, Francesco,
se qualche cosa a questo mondo
? giusta, che io mi dia ragione
della tua  morte, e che io
mi dica che ? stata una
signora Provvidenza, una
Coincidenza  elegante,
a fermare la tua corsa,
l?andante molto mosso
di una normale sinfonia
di vita. Eri giovane, certo,
quando per certo mi sei
morto: ma molti muoiono
molto giovani, essendo
cari ad un Dio che vuole
i frutti pi? dolci. Quindi,
ora lascio il dolore alla
sua sorte, mi faccio una
risata quasi oscena alla
faccia del tuo destino;
giuro che la tua vita non
? stata toccata dalla morte,
ti faccio vivo dentro
un compact disc; sorrido
a chi mi chiede di te,
di dove sei scomparso.

E vivo dentro la tua
Ironia, che fu la mia,
per qualche tempo
troppo breve. Ti sia lieve
sparirmi dal ricordo,amico mio.
Io mi regalo
una violenta
sopravvivenza.

Pubblicato il: 23/12/2008

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