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NOTIZIE CORSIVI

L?America che vogliamo

Giuliano Santelli

?Se vince Obama vado a vivere in America ? dice semiserio uno dei ragazzi che ha dato vita al movimento degli studenti orvietani, aspettando i dati  ? perch? abolir? la pena di morte e ritirer? subito i soldati dall?Iraq?.

Ha fatto anche lui notte fonda, come i suoi compagni di scuola, come le ragazze e i ragazzi ancora assonnati per le occupazioni contro il decreto della Gelmini.

Davanti alla televisione fino a quasi il mattino, questa volta non per una partita di calcio, ma per aspettare una notizia, la buona notizia di una buona politica che finalmente pu? arrivare. Rifletto su quello che mi dice.

Da quanto tempo la politica mondiale, planetaria, non ci inondava con una buona notizia? Ne abbiamo perso la memoria. E quando la notizia di una politica nuova, che pu? essere anche buona, viene dall?America vale di pi?.

Vale di pi? perch? sembrava in questi anni un gigante impazzito, un paese fallito, produttore di crisi. Finanziaria, economica, sociale, morale. I peggiori anni dell?America, quelli di Bush, e per quel che l?America ancora conta, i peggiori del pianeta.

 Gli anni della politica come menzogna, prima di tutto, fondati su quella ideologia performativa, la prima ideologia del post-moderno, che ha finito per abolire progressivamente il principio di realt?, confondere il vero con il falso, ponendosi al di l? del bene e del male. E?  l?ideologia che, a partire dalla fine della guerra fredda e dunque dal crollo dell?altra ideologia,  ha tentato di governare l?occidentalizzazione del mondo e ci ha portati dentro una bolla cosmica.

La politica come menzogna. Delle  armi di distruzione nucleare in Iraq, del titolo rischioso e dell?assicurazione per coprirsi dal rischio, dei mutui sbprime, dei bilanci militari e della spesa interna per armamenti, della deregolamentazione selvaggia dei mercati. L?America che stanotte volta pagina chiude forse il capitolo che ha s? come stolto e maldestro epigono George W. Bush ma che comincia all?inizio degli anni Ottanta con le ricette di Milton Friedman, frutto di quella  teoria monetarista  che Ronald Reagan incider? nella carne viva della societ? statunitense, facendone pagare le spese ai poveri che sono cresciuti come mai prima  e al ceto medio che si ? impoverito come in nessun altro paese al mondo. 

La sua prima frase di capo di Stato ? nota: ?Lo Stato non ? la soluzione dei nostri problemi, lo Stato ? la causa dei nostri problemi?. In Europa l?aveva preceduto Margaret Thatcher con l?altra frase celebre: ?La societ? non esiste, esistono gli individui?. George W. Bush le avr? rimosse entrambe nel momento preciso in cui per arginare il ritmo di due fallimenti bancari al giorno sottoscriveva il famoso piano finanziario da 700 miliardi di dollari, definito un piano ?socialista? dal suo stesso entourage repubblicano.  Obama, vincendo le elezioni, pu? chiudere questo capitolo della storia americana diventata storia del mondo negli ultimi decenni. 

Eredita una crisi finanziaria che ha come risvolto crudo della medaglia recessione e disoccupazione, casse dell?Unione quasi vuote, welfare ridotto all?osso, difficolt? a garantire pensioni e sanit?, debolezza strutturale e quasi mancanza di strumenti d?intervento.  Pi? di dieci milioni di senza lavoro, mezzo milione solo nel mese di settembre.

Dovr? partire dal punto in cui i repubblicani, da Reagan a Bush, non sono mai giunti. Da quell?economia reale lasciata a lungo a s? stessa, quell?economia che non guarda solo alla necessaria trasparenza di Wall Street e alla ristrutturazione dei mutui, ma mette al centro la creazione di lavoro, l?assistenza sanitaria, la spesa sociale,  il bene pubblico.

Se ? vero il paragone con la crisi del ?29, dovr? succedere, nel metodo di governo, qualcosa di simile.

Dopo il crollo ci fu il welfare roosveltiano. Dopo Friedman, Reagan, Bush il Barak Obama che volta definitivamente pagina sar? quello che ci aspettiamo che sia se sapr? riscrivere per l?America un nuovo contratto sociale.

E da paese, gli Stati Uniti, direbbe Oscar Wilde, che stava morendo al di sopra delle proprie possibilit?, tornare a rinascere.

Chiss? se potr? capitare anche a noi di avere un Paese dove banchieri e speculatori finanziari finiranno dritti in galera, se i tanti lavoratrici e lavoratori in crisi, precari, sottopagati, potranno un giorno vivere con entusiasmo una campagna elettorale dove si sentano protagonisti. Dove migliaia di giovani studenti e ricercatori non dovranno pi? scappare all?estero. Dove i Falcone i  Borsellino i Saviano non dovranno essere pi? eroi ma persone normali in un Paese normale. Chiss??

Pubblicato il: 05/11/2008

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