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Note e divagazioni sul fare o non fare architettura a Orvieto e dintorni

cerco guai

Dopo l?esperimento di due settimane fa, anche questo luned? proporr? delle annotazioni, delle ipotesi di ragionamento, delle provocazioni ?a rate?, articolate secondo microtemi spesso interconnessi, da sorbire in dosi omeopatiche: un paragrafetto al giorno, e domenica festa!

L?idea di fondo ? quella di voler fare un abbozzo di riflessione sulla polemica nata attorno alla costruzione della chiesa di Ponte del Sole.

Sono in molti a protestare per quel grande edificio alle pendici della rupe e praticamente sopra un sito che oramai quasi tutti concordano a definire, se non altro, archeologicamente importante.

Mi sia concesso, pur non essendo n? architetto, n? storico dell?arte, n? archeologo, di dire la mia.

E mi sia consentito anche, audite audite, di non voler arrivare a nessuna conclusione.

Metropoli o borgo?

Non ? un caso che le citt? pi? vive siano quelle che fanno pi? architettura: Parigi, Berlino, Barcellona, per restare in Europa; Tokyo, Dubai o Pechino, se vogliamo guardare oltre la punta del nostro naso. Emblematica ? la vicenda delle aspre critiche sollevate dai parigini all?edificazione del mega traliccio per il centenario della presa della Bastiglia. Oggi quel traliccio ? noto come Torre Eiffel, ed ? il simbolo della citt? che ne aveva osteggiato la costruzione, salvo poi accondiscendere con il patto che, passati i festeggiamenti, tutto venisse smontato.

D?altra parte, non ? nemmeno un caso che l?immaginario collettivo vada a ricercare contesti integri, paesini e quartieri che mantengono inalterato il loro aspetto ?originario?, ammesso e non concesso che ci sia un inizio e una fine per questa ?origine?.

Quindi non dovrebbe stupire che le metropoli ricorrano all?opera di urbanisti con gli attributi fumanti per interventi consistenti e ben identificabili, mentre i piccoli centri storici tentino di dare un sapore di antico e di ?autentico? anche alle cassette per le lettere e ai videocitofoni.

A mezz?aria, sospese nell?incertezza del limbo delle identit? mancate, le molte vie di mezzo come Orvieto, che hanno nella mente la vita, l?economia e le pretese di una citt? vera e nel cuore il presepio incantato dei borghi pi? belli d?Italia. E il naufragar non sempre ? dolce. Il navigare a vista ancora meno.

Falsi che sembrano veri o veri che sembrano falsi?

La fine dell?Ottocento e l?inizio del secolo scorso hanno rappresentato per Orvieto dei periodi di grossi cambiamenti: l?interno del Duomo, la facciata di Sant?Andrea e il tetto del palazzo del Capitano del Popolo non sono che esempi della foga ?restauratrice? che ha voluto reinventare il Medio Evo che non c?era pi?.

Giusto o sbagliato spogliare le navate del Duomo dai capolavori che ne hanno arricchito il vicino museo? Giusto o sbagliato, nel ridisegnamento della chiesa che confina col Comune, l?inserimento del porticato lungo il corso e della lunetta medieval-liberty sopra il portale? Giusto o sbagliato interpretare un fregio della torretta campanaria del palazzo di piazza del Popolo come l?abbozzo di un probabile quanto inusuale merlo arzigogolato e riproporlo lungo tutto l?edificio?

Intanto arrivava lo ?storicismo? degli anni Venti, con Perali e Ciaurro che mescolavano Medio Evo e design per creare la ceramica di stile orvietano, mentre qualcun altro mescolava nobile e plebeo dando vita alle palazzine finto-medievali che spuntavano soprattutto verso Pistrella. Meglio creare un finto aspetto antico come intorno a San Domenico o meglio fare palazzine in cemento armato come tra Piazza del Popolo e Via Roma? Di sicuro le terrazze a sbalzo di fronte alla ex chiesa di Sant?Antonio stridono molto con la rupe, ma ? meglio rischiare di screditare tutto quanto non riuscendo pi? a distinguere una abitazione medievale vera da una che vorrebbe solo sembrarla?

Impatto ambientale?

Oggi va molto di moda mettere in piedi nuovi problemi per creare nuove figure professionali (quasi a mettere in dubbio le capacit? di quelle gi? esistenti), nuovi carrozzoni e nuovi passaggi burocratici a volte di dubbia efficacia. Chi volesse leggere in queste mie parole un riferimento all?esasperante infierimento, spesso inutile, della mole di registri da compilare per sicurezza sul lavoro nei negozietti, autocontrollo dei processi produttivi alimentari anche minimi, raccolta di dati comuni e pseudo-sensibili (privacy) e compagnia bella, ? libero di farlo.

Ora tutti parlano di valutazione di impatto ambientale. Cosa sacrosanta, specie in nazioni, regioni e territori che hanno l?ambiente e il paesaggio come risorsa pi? o meno immateriale. Vorrei per? ricordare come Orvieto custodisca il mirabile frutto della pi? sbagliata valutazione di impatto ambientale della storia dell?architettura mondiale, definito da Konody come ?un appariscente, sovraccarico pezzo di architettura da torta nuziale?: il Duomo.

Chi mai, oggi, autorizzerebbe marmi bianchi e mosaici d?oro sopra un masso di tufo? Chi se la sentirebbe di far costruire uno stabile cos? grande e cos? rigido in una zona ad elevato rischio sismico? Chi imporrebbe che i materiali siano tutti e solo di importazione?

Confessate! Andate al belvedere del cimitero o, meglio ancora, a Buonviaggio o a Settecamini, e dite, quel coso puntuto e rilucente, non ? forse un cazzotto in un occhio?

Tracce del passato?

Gli ultimi a fare architettura nel centro storico di Orvieto sono stati gli ingegneri di Mussolini: hanno distrutto buon parte della chiesa di San Domenico per fare l?accademia femminile e hanno sotterrato chiss? cosa per costruire la ex Piave e le scuole.

Ancora oggi non sappiamo cosa si nasconda nei sotterranei del casermone, delle carceri, della ex SMEF e dell?Aeronautica (ops, pardon, ora si chiama RAMDIFE, come precisato con un adesivo sulle insegne turistiche) perch? protetti da segreto militare.

Non and? diversamente a Roma per la via dei Fori Imperiali o a Barcellona, in altri periodi, per la Avinguda Diagonal, la grande arteria che taglia a met? l?abitato e che comport? la demolizione o la ricostruzione in altre sedi di diversi edifici medievali.

? giustissimo preservare le vestigia del passato, ma la chiesa di Ponte del Sole non occupa di sicuro pi? spazio di quanto ne occupino tre o quattro palazzine costruite dall?altra parte della strada, dove non ? del tutto balzano ipotizzare una prosecuzione dell?impianto archeologico.

Inoltre non so se l?edificazione della chiesa sia stata approvata prima o dopo che si capisse che, Fanum o non Fanum, il Giardino della Regina ? davvero un?area da preservare forse pi? di altre alle pendici della rupe.

Insomma, potrebbe essere che quando l?opera ? stata autorizzata non si sapesse cosa stesse dormendo l? vicino, mentre ho dei seri sospetti che quando hanno asfaltato la stupenda selciata che stava a pochi metri, si vedesse bene, fin troppo bene, su cosa si stesse colando il bitume, cancellando secoli di storia.

Massa o eccellenza?

Gli ingegneri del Ventennio hanno distrutto troppo, ? vero, ma hanno regalato a Orvieto esempi mirabili del cosiddetto ?razionalismo? architettonico: un?accademia con strutture sportive che molti centri ancora si sognano, una caserma che ? cos? troppo per noi che ancora non sappiamo cosa farne, le scuole elementari ancora in uso e una materna la cui impostazione (aule su un lato e servizi sull?altro, un unico spaziosissimo corridoio centrale, il cortile su tre lati?) ? migliore di gran parte dei moderni asili.

Poi pi? nulla sulla rupe, se si esclude la sostituzione delle porte del Duomo e di quelle del palazzo del Capitano del Popolo, le scatolette in tufo di ascensori e funicolare, l?altana del palazzo Faina o il progetto della torre del settimo centenario della cattedrale, quando Portoghesi ci rifil? come uno studio sul nostro amato Duomo un obelisco monopalla progettato sullo stile del gotico di Praga.

Fuori delle mura qualcosa s?: il pandoro di Fuksas al cimitero (ispirato al Pozzo di San Patrizio), la chiesa di Sferracavallo, il famigerato Borgo, la ?clinica? di Mossa del Palio (il grande palazzo a scaletta bianco e blu), la chiesa di Ciconia e il vicino tentativo di mettere in pratica i principi di Le Corbusier che ha generato (sarebbe meglio dire ?abortito?) il famigerato ?scatolone?.

Poi quasi pi? nulla, con un susseguirsi di casette a schiera che mischiano Portofino con le baite di montagna, lo stile tipico dei prefabbricati industriali con un vago retrogusto da spiaggia di Casablanca, in un guazzabuglio di stili (sarebbe meglio dire di ?non-stili?) che contraddistingue quasi tutte le periferie italiane, in cui nulla ? pi? n? tipico ed esclusivo, n? originale e riconoscibile.

Orvieto come Venezia?

Orvieto, insieme al colle di Todi, ? accomunato a Venezia per via delle leggi speciali nate proprio per questi fortunatissimi (?) centri.

A Venezia si costruisce (e si apre nottetempo senza le fastose cerimonie promesse) il quarto ponte sul Canal Grande, mentre a Orvieto la chiesa di Ponte del Sole. Nel capoluogo veneto, il ponte di Calatrava ? criticatissimo, per utilit?, costi, conformazione (al centro si allarga al contrario degli altri ponti veneziani che si restringono), peso ed aspetto, essendo forse l?opera pi? anonima e meno riconoscibile del celeberrimo architetto spagnolo.

Il noto critico d?arte Philippe Daverio, in una intervista su una rete nazionale, ha detto qualcosa del genere (cito a memoria): ?Il ponte di Rialto lo si pu? pensare solo a Venezia, mentre di ponti simili a quello di Santiago Calatrava se ne possono trovare in tutto il mondo?.

Perci?, permettermi di parafrasare questo concetto e di lanciare un?ultima provocazione: ben venga la chiesa di Ponte del Sole (fosse pure nel dubbio che stia sopra a resti ormai forse irrecuperabili), a patto che sia un?opera di architettura vera e non l?ennesimo capannone venuto fuori dal cassetto di uno stanco ingegnere senza stimoli.

Se poi visivamente, all?esterno quanto all?interno, la nuova chiesa ricordasse che nei paraggi avvenne lo storico incontro col sacro lino di Bolsena, contribuendo a risvegliare la coscienza orvietana e a stimolare il nostro senso di appartenenza anche attorno al Corporale e al Corpus Domini, ancora meglio.

Altrimenti, fate voi.

 

Pubblicato il: 19/09/2008

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