Isphaan
Fausto Cerulli
Dopo vennero i colori, inventati da un dio dei minareti, e la luce
Accecante sulla piazza grande con le madrase rispecchiate
Dalla fontana larga che sembrava di onde percorsa ma era
Il respiro degli occhi miei che si faceva strada dentro
L?anima. Prima furono le voci, in quella lingua melodiosa
Dove sorriso e pianto hanno le stesse note. L?Iran era
Ancora e sempre Persia, lo Scia aveva lasciato la sua
Scia di sterminio, crudele come un Serse occidentale
Deciso a non morire. Non ? una citt? , questa, che
Sorge sull?oasi, ma una sfida al deserto, una battaglia
di preghiere diverse. Viveva non so come quella
Ragazza ebrea che si finse francese e cercava uno
Scampo nel volersi vestire l?anima e la pelle
Da sacra puttana, ispirata da un eros sciatto, triste.
Citt? di mille ghetti, mescolati giudei senza
Storia ed armeni con troppa e sofferta. A piedi
Nudi dentro la moschea, e vestita l?anima mia di un
Bisogno di dire preghiere a un dio qualunque, seppi
Quanto silenzio in quella luce, quanto profumo
D?assenzio in quel bazar di tappeti e di galli, albergo
Di colori. Mi sentivo molto diverso da me stesso, mi
Raccontavo i contorni di Isphahan come i tratti
Del volto di una donna amabile perch? donna e
Perch? amabile. Le stelle erano sempre le stesse,
Inutilmente belle, vane e lontane. La notte
Aveva il mormorio delle fontane; e il canto
Del muezzin era canto di orgoglio e pianto.
Pubblicato il: 18/09/2008